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02.07.2012  |  Cultura

La guerra (contro la malattia) è dichiarata

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La guerra è dichiarata“. Il titolo del film di Valérie Donzelli, scritto e interpretato in coppia con Jérémie Elkaïm, chiarisce fin da subito il tenore battagliero della storia. Non si tratta però di un film di guerra tradizionale: niente pistole o armi, soltanto camici e bisturi accompagnano un’intera famiglia, in trincea contro la malattia.

Il film si apre in un’asettica sala tac, ma cambia subito registro: attraverso un particolare dell’occhio della protagonista scopriamo in flashback l’inizio della storia. Juliette e Romeo (proprio come i celeberrimi personaggi shakespeariani) si incontrano, si frequentano, si amano. Con spensieratezza. E con la stessa spensieratezza decidono di formare una famiglia, dando alla luce un bel bambino di nome Adam. Quando scoprono che il loro figlio, di appena 18 mesi, ha un tumore al cervello reagiscono nell’unico modo per loro possibile: fronteggiando la malattia e cercando di non lasciarsi sopraffare dal dolore.

“La guerra è dichiarata” non è un melodramma, ma un inno alla vita ammantato di commedia, colorato e psichedelico, in cui la tensione viene smorzata dalla musica e dalla forza d’animo dei protagonisti, esternata da una memorabile battuta:

– Perché è capitato a noi?
– Perché noi ce la possiamo fare.

I protagonisti della storia, sebbene assumano nomi archetipici, sono gli stessi interpreti: il dramma personale di Valérie Donzelli, Jérémie Elkaïm e del loro figlio Gabriel (anch’egli protagonista nelle scene ambientate ai giorni nostri) viene trasportato sullo schermo trasformando in sceneggiatura i “diari della malattia” tenuti dai due. Per questo il film mantiene un doppio punto di vista nella narrazione, rivelando una dinamica di coppia in cui non mancano le inversioni di ruoli: da fragile e spaventata, Juliette diventa un vero e proprio generale della guerra proprio nel momento in cui Romeo rischia di crollare. Di sicuro i due sanno come supportarsi l’un l’altro e attenuare l’apprensione, come quando decidono, la notte che precede l’operazione, che per sentirsi meglio devono condividere le loro paure e il grottesco crescendo di tragedie temute sfocia nella boutade (nemmeno troppo politically correct), per poi portarli ad opposte soluzioni per affrontare l’attesa: lei prega, lui scrive al figlio.

Un film ricco di colte citazioni alla cultura in senso ampio, soprattutto francofona: dall’arte – “L’origine du monde” di Courbet utilizzata per significare la nascita di Adam – alla Nouvelle Vague – evocata nella scena della corsa di Juliette e Romeo sul ponte che richiama “Jules e Jim” e nel finale à la “I quattrocento colpi”, entrambi di François Truffaut -, dai mascherini del cinema francese d’avanguardia alle immagini astratte che richiamanoThe Tree of Life“. La trafila delle visite, con i genitori seduti sempre nella stessa posizione che sembrano parlare proprio a noi spettatori, ci riporta alla mente il coevoUna separazione” del regista iraniano Asghar Farhadi.

La regista, pur avendo alle spalle un solo lungometraggio dal titolo “La reine des pommes”, sfrutta con abilità le possibilità che il mezzo cinematografico le offre. La scena in cui Juliette annuncia la malattia del figlio a Romeo, sulle note di Vivaldi e priva di sonoro diegetico, è carica di intensità drammatica. La musica ha un ruolo fondamentale in tutto il film ed è molto varia: si va dalla già citata classica all’elettronica, dall’opera alla marcia, persino il duetto che mette in luce la solidità della coppia.

La guerra è dichiaratanon è dunque uno di quei film che cattura le attenzioni dei critici ma non sa parlare al pubblico: il messaggio arriva al cuore e al cervello anche perché non sfrutta gli abusati stilemi del patetico. La Donzelli si concentra sulla malattia ma anche sulla coppia (dimostrandosi allineata alla tradizione francese), concentrando l’attenzione sui familiari del malato. Il cinema si fa terapia e mezzo per superare il trauma, oltre che testimonianza priva di freni inibitori.

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