Caterina riesce con poche semplici parole a trasferirci l’importanza dell’esserci. Spesso con i nostri pazienti possiamo e dobbiamo essere lì, senza parole e senza fare, così difficile per noi figli di un mondo che sembra trovar senso solo attraverso l’azione.
Qualche anno fa ho incontrato Sonia, 40 anni circa, mi è sembrata subito molto giovane. Era molto stanca e assonnata, avrebbe voluto dormire un po’ ma aveva paura che io me ne andassi e la lasciassi sola nella stanza, sola con la sua angoscia e la sua paura.
Immagine di Simon Bourgeois da https://www.pinterest.com/pin/576249714791339484/
Per me è stata un’esperienza toccante, perché tra l’altro non la conoscevo per niente, era il nostro primo incontro. Ma quando ho capito che la sola vicinanza per lei poteva avere un significato particolare di presenza umana, di calore, di non abbandono e di protezione contro la paura della solitudine della malattia, ho pensato che anche quel modo di darsi la mano poteva servire ad accogliere un bisogno.Allora le ho detto che, se le faceva piacere, avrei potuto rimanere lì mentre dormiva, per tutto il tempo. Lei mi ha dato la mano e siamo rimaste così, con la mano nella mano, per più di un’ora. Sonia ogni tanto si svegliava, mi guardava, o meglio controllava che io fossi ancora lì con lei, e poi si riassopiva.
Grazie Sonia, come spesso succede in hospice, mi hai insegnato qualcosa di molto importante.