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04.06.2012  |  Operatori

Quella voce è ancora nell’aria

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Mi apre la porta una ragazza, ha 20 anni, è al secondo anno all’università. La sua mamma è sempre a letto per un intervento all’anca, una metastasi ossea le ha frantumato il femore. Fisico sottile, leggero, capelli neri e occhi ancor più neri, profondi, si capisce subito che nessuno riuscirà a strapparle un sorriso. Due sole parole, si accomodi, l’accompagno. La casa è d’epoca, spoglia, nessun quadro o specchio sulle pareti, i tanti scatoloni rimandano ad un recente o prossimo trasloco ma i muri bianchi, appena ritinteggiati, mi dicono che in quella casa ci abitano da poco, troppo poco per aver messo tutto in ordine. Oppure è accaduto qualcosa che ha messo l’ordine in secondo piano.

Mi accompagna alla fine di un corridoio, la sua mamma mi aspetta. Quel corridoio è troppo lungo, l’ansia aggancia il mio cuore che accelera tanto, ho paura che chi mi sta accanto se ne possa accorgere, so cosa mi aspetta. «Vai da lei Mauro, l’unica cosa in cui crede e che le alimenta la speranza è la fisioterapia. Il chirurgo ortopedico aveva fatto il miracolo di impiantare una protesi d’anca in quel che restava del femore ma ora tocca a noi rimetterla in grado di camminare. Se non torna a lavorare ogni attimo di vita diventa, per lei, inutile da vivere». Con queste parole il medico della mia équipe aveva concluso la presentazione del caso.

Il letto è in un angolo, sopra ci sono libri, telefoni, computer, tazze, fogli, biro, un mazzo di fiori, due giornali, telecomandi, video cassette – tantissime -, cuffie e CD, fumetti, la cartella clinica, radiografie… Doveva avere tutto vicino, non poteva uscire dal letto e non voleva disturbare la figlia. «Deve studiare» mi disse, «è già brava a svuotarmi la padella… Sa siamo sole noi due, il suo papà l’ha vista forse due volte, non mi telefona da anni, forse siamo ancora nei suoi pensieri, almeno in quelli; probabilmente non sa neanche del tumore che mi costringe in un letto, meglio così, se no dovrei preoccuparmi anche di lui. La frutta con il tempo matura, per gli uomini non è detto che sia così».

L’unica cosa del suo aspetto che mi rimanda alla figlia è la leggerezza, tutto il resto è troppo consumato, scolorito, vecchio, potrebbe appartenere alla nonna, non alla mamma quarantenne, di una ragazza di 20 anni. Ma la sua voce, incredibile: di quelle voci che senti spesso ma che non incontri mai, e quando le incontri, in genere, fanno apparire inadeguato il corpo che le ospita. Era una doppiatrice, dava voce e anima a personaggi celebri sia della televisione che del cinema. Mi racconta, con quella voce, dei suoi sogni, dei suoi progetti e li mette in fila: tornare a camminare, tornare a guidare, tornare a lavorare. Mi racconta, con quella voce, della sua vita e delle difficoltà a conciliare il ruolo di madre con quello di un lavoro così strano, senza orari e senza certezze. Di come fosse orgogliosa di quella brava figlia, lo dice abbassando quella voce per non farsi sentire di là.

Non osavo interrompere, non volevo che la mia voce spegnesse la sua; non so dopo quanto tempo le ho detto: «si può provare ma se ce la faremo lo sapremo solo quando avremo raggiunto l’obiettivo, non ho esperienza specifica, del suo femore ne resta solo il terzo distale, navigheremo a vista, nessuna garanzia…». Un silenzio troppo lungo tenne sospese le mie parole mentre i nostri occhi restavano immobili a fissarsi. Poi, finalmente, quella voce disse: «va bene, io ci sto. Apprezzo la sua franchezza, i suoi dubbi alimentano la mia speranza più di un’ostentata ma falsa sicurezza, male che vada tornerò a stare nella posizione in cui sono ora».

Andai da lei tre volte la settimana per tre mesi, lei riprese a guidare la macchina, riprese a lavorare, a vivere, per almeno un anno. Poi quella voce non si fece più sentire. Ora la figlia avrà sicuramente finito l’università ma chissà se qualcuno sarà riuscito a farla sorridere ancora. Io ogni tanto mi accorgo che quella voce è ancora nell’aria, a dare un’anima a corpi che rimarranno inalterati nel tempo, pronti a rianimarsi con un clic, come i ricordi più belli.

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