La vicenda del piccolo Charlie Gard ha occupato per giorni le pagine dei quotidiani e alimentato un lungo dibattito sui social network: chi è padrone di una vita, tanto più se essa sta per spegnersi quando ancora non s’è affacciata a un’esistenza sensibile? Quando si può parlare di tramonto naturale, come chiedono i credenti, entro il quale va difesa e rispettata?
Se proviamo a ripercorrere quell’angosciante odissea, straziante per i genitori, è per sottolineare la complessità di un caso che merita una riflessione ben più ampia e che non può certo ridursi al distacco di una spina.
Charlie Gard, nasce il 4 agosto dello scorso anno e dopo un mese si scopre che è affetto da una rara malattia genetica che al momento non ha possibilità di cura. Un’encefalopatia lo costringe a vivere con un respiratore meccanico e in stato letargico. Ai primi di luglio il Great Ormond Hospital, dove il neonato è ricoverato, decide di porre fine alla terapia, contro il volere dei genitori. La coppia ricorre ai tribunali inglesi e poi alla Corte dei diritti dell’uomo, che confermano la necessità di staccare la spina. I medici sono autorizzati a procedere. Dall’Italia l’ospedale del Bambin Gesù fa sapere di aver messo a punto un trattamento sperimentale e un protocollo applicabile ovunque. Lo scienziato Robert Winston definisce l’offerta una crudele interferenza. Non ci sono risultanze sperimentali che possano offrire supporto. Tuttavia il 10 luglio il giudice dell’Alta Corte accetta di considerare nuove prove. Il 17 luglio Michio Hirano, neurologo di New York, che si era offerto di curare Charlie, discute il caso con i colleghi. I nuovi esami confermano le pessime notizie precedenti. I genitori alla fine si arrendono con queste parole: “Tempo scaduto e troppo tempo perduto, stacchiamo la spina”. La battaglia legale si conclude qui, non le polemiche.
Come comportarsi in condizioni di stallo biologico determinato dall’assenza di terapie disponibili?
In primo luogo le conoscenze sullo stato di malattia vanno fornite ai genitori, con la miglior sensibilità possibile. Le loro conclusioni devono essere tenute in conto, ma non sempre conclusive poiché i medici, in quanto garanti della comunità, sono tenuti a dire quale sia la scelta più opportuna. Inoltre la risposta dei sanitari va sempre oltre la conclamata circostanza e deve considerare eventuali altri casi.
La decisione resta comunque un fatto individuale, anche se leggi e principi costituzionali delle comunità, tanto più sono scritti con efficacia quanto più offrono garanzie.
Resta in ogni caso la difficoltà, ma si può dire l’impossibilità, di trovare un accordo etico.
In questi casi, oltre la ratio, occorre ciò che la nostra fondatrice definisce un supplemento d’anima: “Salire sulle alture della vita, con passione e pazienza, adeguando il corpo e donando all’anima il nutrimento più grande”.
Proprio mentre la Casa Sollievo Bimbi sta per prendere corpo accanto all’hospice, la vicenda di Charlie sollecita il nostro impegno a far sì che quelle nuove mura siano spazio di cura, d’accoglienza, di conforto, umana condivisione e insieme di confronto e intenso lavoro. Ciascuno nel ruolo che compete, tutti tesi a studiare perché sempre meno siano i Charlie messi alla prova estrema e perché la loro vita residua sia vissuta comunque nel nome della dignità.
Già, perché la dignità non conosce età, dal primo vagito sino all’ultimo istante.