“Sono già due giorni che mia moglie non mi insulta… i primi due giorni negli ultimi cinquant’anni”. E ride di un riso lieve, soprattutto con gli occhi, Aurelio, che nella vita è stato un uomo potente e ora è lì, di fianco a sua moglie, che nei due giorni precedenti è seriamente peggiorata. Un minimo intervento farmacologico, che aveva l’intento di ridurre il vomito che la squassava, ha consentito a lei di addormentarsi, di congedarsi dal mondo dove, così com’era tra drenaggi, dolore e debolezza, non le piaceva più stare.
Riflettiamo con lui e con i suoi figli, stretti intorno a questa donna autoritaria e spiritosa, su come sia stata lei, anche in questa fase, ad aiutarci a capire quale fosse la strada giusta. Il suo abbandonarsi al sonno senza combattimenti, senza necessità di aggiungere praticamente nulla, dicono del suo essere pronta. Siamo intervenuti al momento giusto, troppo docile il suo sonno in relazione al dosaggio dei farmaci impiegati. Questo l’ho capito davvero: quando la terapia sedativa incontra il percorso compiuto dal paziente è tutto più semplice, quando non c’è più rabbia e il paziente è “pronto”, si abbandona alla terapia e lascia ai familiari e agli operatori una grande sensazione di pace. Aurelio conferma. Sua moglie – che pure pochi giorni prima, in un momento in cui eravamo rimaste sole, mi aveva chiesto a bruciapelo: “Ma di questa malattia si può solo morire, vero?”, lasciando aperto un territorio di speranza e di dubbio inattesi – sempre pochi giorni prima aveva voluto “sistemare le cose” e salutare le sue sorelle.
Mentre lei dorme nell’altra stanza riusciamo a ridere alla rievocazione di episodi di vita di cui lei, con l’originalità che l’ha caratterizzata, è stata protagonista, episodi più o meno piccoli che – mi immagino – faranno parte delle storie che verranno raccontate e ri-raccontate a mantenere vivo il suo ricordo. Provo un sentimento strano, come altre volte in situazioni simili mi è capitato. Vengo accolta a far parte di un’intimità che non mi appartiene, di cui faccio parte con stupore e delicatezza, per il tempo necessario. Poi li saluto, sapendo che probabilmente non li vedrò più. E un’altra volta, uscendo, porto con me pezzi di storia, tracce di vita e mi sento un po’ più ricca.
Chiamo mio marito e gli dico che spero di avere avuto un’anticipazione di quel che lui dirà di me tra una trentina d’anni, quando sarò sedata da un paio di giorni. In fondo è il giorno di S. Valentino: mi sembra uno splendido augurio.