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12.06.2023  |  Racconti

Diventare volontari a domicilio è un percorso, con l’assistenza sempre al centro

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È il 2019 quando Carlamaria, chiamata da tutti Caia, incontra VIDAS per la prima volta. Arriva su consiglio dell’oncologo che ha in cura sua mamma, alla quale dopo tanti problemi di salute hanno diagnosticato un tumore mediastino. Ha 90 anni. D’accordo con l’oncologo preferisce evitare l’accanimento terapeutico e si rivolge a VIDAS.

“Mia mamma è stata presa in carico a domicilio e ho potuto rendermi conto ‘sul campo’ di quanto ognuno di loro [i membri dell’équipe multidisciplinare] fosse importante per noi che viviamo intorno ad un malato terminale,” dice Caia.

Un anno dopo la morte di sua madre, forte di 10 anni di assistenza come volontaria all’IEO, Caia sceglie di dare il suo contributo ai malati seguiti da VIDAS.

“Ho frequentato il corso e sono ora volontaria a domicilio. I miei compiti principali sono sicuramente offrire ascolto e vicinanza fisica all’ammalato, se allettato. Oppure assecondare i suoi desideri, che siano una passeggiata all’esterno, una chiacchierata o qualsiasi cosa desideri fare purché non sia in contrasto con le disposizioni dell’equipe, a cui ogni volontario è collegato via WhatsApp.”

Continuando a parlare della sua attività di volontariato in VIDAS, Caia ne sottolinea un aspetto fondamentale. “È importante che si instauri un buon rapporto con i familiari, i figli in particolare o i coniugi, che a dire il vero spesso sono quelli che hanno più bisogno di sostegno”.Un’altra cosa da tenere a mente è che “entrando nelle case altrui sei tu che devi adattarti alla situazione e alla condizione in cui ti trovi. Io non dimentico mai che non sono a casa mia.”

Quando le chiediamo di raccontare un’esperienza particolarmente significativa che le è capitato di vivere come volontaria in VIDAS, Caia riflette prima di raccontare: “la penultima esperienza di assistenza che ho seguito è stata per me forte e dolorosa, in quanto l’ammalata era proprio in fin di vita e molto sofferente, ma la figlia era legatissima a lei non voleva lasciarla andare. Se ero da sola con la paziente lei mi diceva che non ne poteva più di stare al mondo, parlava con i suoi cari defunti, che vedeva in camera lì con lei.Quando l’ho raccontato a sua figlia mi ha risposto ‘vedi, vuol dire che è presente, è un peccato farla spegnere’ e chiamava il suo geriatra, il quale non essendo un medico palliativista le dava il cortisone. Insieme all’equipe abbiamo parlato con la figlia, le abbiamo spiegato bene qual era la situazione e alla fine anche lei si è convinta a lasciarla andare.

È stata un’esperienza dolorosa, che però mi ha dato l’opportunità di capire quanto sia importante firmare per la DAT, le Disposizioni Anticipate di Trattamento. Infatti ho deciso di entrare a far parte del gruppo che si occupa di divulgare in tema di testamento biologico e rispondere alle domande che tanta gente si pone di fronte a questa scelta. In primo piano però per me la cosa più importante rimane sempre l’assistenza.”

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