«Anche due fratelli con la stessa mutazione genetica possono manifestare la malattia in modo completamente diverso. È per questo che pratichiamo quella che chiamiamo medicina personalizzata, o di precisione: ogni aspetto della cura — dalla dieta ai controlli clinici — dev’essere cucito su misura» dice al telefono – con un bell’accento pistoiese – Serena Gasperini, pediatra e responsabile del Centro Fondazione Mariani per le Malattie Metaboliche della Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza.
Da oltre vent’anni, la dott.sa Gasperini si dedica esclusivamente a pazienti affetti da malattie rare, tutte geneticamente determinate. Il suo approccio, spiega, non può che essere personalizzato: ogni bambino è un mondo a sé ed è “unico”.
L’unicità del percorso clinico si fa ancora più evidente quando si parla di malattie ultra-rare, patologie per cui la letteratura scientifica è scarsa e i riferimenti teorici sono spesso limitati.
«Ci sono bambini che ‘escono dalle pagine dei manuali’, superando le aspettative. È il caso di Cecilia, una bambina affetta da mucolipidosi di tipo 2. Secondo quanto riportato in letteratura, avrebbe dovuto avere un ritardo mentale profondo e una prospettiva di vita di pochi mesi. Invece Cecilia ha oggi quattro anni e mezzo: è vispa, intelligente, piena di energia, una vera forza della natura aggrappata alla vita ed ai suoi genitori. La sua storia sta smentendo la prognosi iniziale.»
Ma per affrontare patologie tanto complesse, non basta la teoria. Serve un’intelligenza clinica che va oltre l’evidenza.
«Nelle malattie ultra-rare servono intuito e sensibilità. Dico sempre che bisogna sviluppare un sesto e un settimo senso, per cogliere sfumature che i manuali non riportano. Ogni bambino si adatta alla sua condizione in modo unico, è una pagina di storia a sé e non si identifica con la sua malattia ma solo con quello che esprime di essa. Non si può ridurre tutto alla sola diagnosi.»
Fondamentale è anche la relazione con le famiglie.
«Dobbiamo imparare ad ascoltare i genitori. Capire cosa stanno dicendo davvero, andando oltre le parole e anche quando non riescono a esprimersi chiaramente. Superare i pregiudizi culturali e accogliere la loro storia. Ricordo una famiglia pakistana che ci ha chiesto di conoscere la prospettiva di vita del figlio per poter programmare un’altra gravidanza. È un modo di pensare diverso dal nostro, ma non per questo sbagliato.»
Il punto, sottolinea, è non giudicare. Anche di fronte a scelte che potrebbero sembrare incomprensibili. Ad esempio, «quando una madre rifiuta l’inserimento di una PEG per il figlio, spesso non è ostinazione: è dolore. È la perdita di un gesto d’amore quotidiano, come nutrire il proprio bambino con le mani. Serve tempo, empatia e rispetto per accompagnare queste decisioni.»
È qui che la collaborazione con realtà come VIDAS diventa essenziale. Insieme, ospedale e territorio costruiscono percorsi condivisi, nel rispetto del bambino e della famiglia.
«Con VIDAS abbiamo creato un sistema efficace: ci confrontiamo, condividiamo obiettivi e decisioni, creiamo una rete che lavora in sinergia attorno alla famiglia, affrontiamo insieme anche i casi non ancora in fase terminale, come quello di Cecilia appunto. Questo approccio multidisciplinare fa la differenza.»
In un ambito come quello delle malattie genetiche metaboliche rare, in cui le speranze terapeutiche sono spesso limitate, anche la ricerca e la partecipazione a studi sperimentali assumono un valore speciale.
«Molti genitori scelgono di partecipare a studi clinici non solo nella speranza di un beneficio diretto, ma per lasciare un segno. Per fare qualcosa di utile anche per gli altri. C’è un grande bisogno di comunità, di sentirsi parte di qualcosa di più grande e di condividere il proprio cammino con altri.»
E proprio per rispondere a questa esigenza, conclude Gasperini, è fondamentale ricordare una cosa: «A una famiglia che riceve una diagnosi devastante io dico: non sarete soli. Perché, se è vero che ogni bambino con una malattia rara è unico, il fil rouge che lega tutte le loro famiglie è sempre lo stesso, la solitudine. Per questo è importante dire ai genitori ‘Saremo con voi, qualunque scelta decidiate di fare’. Prendersi cura significa questo: esserci. È un percorso difficile, certo, ma fatto di relazioni vere. Ed è per questo che vale la pena affrontare ogni giorno nuove sfide assieme.»