Federico è figlio unico. E, come accade sempre più spesso, non ha avuto scelta: è stato lui a prendersi cura del padre Paolo, ogni giorno, in ogni gesto, anche il più piccolo, da quando si è ammalato e i loro ruoli si sono capovolti.
«Nella mia famiglia siamo pochi», racconta. «Sarei stato comunque io. Ma non ho pensato a chi se ne sarebbe preso cura, davo per scontato che sarebbe toccato a me, non tanto per legami di sangue, ma per quello che ha fatto mio papà per me nella vita».
Il percorso è iniziato all’improvviso: un intervento d’urgenza, un esito inaspettato, la diagnosi di una malattia oncologica. Da quel momento, Federico ha iniziato a vivere “un tempo diverso”, come lo definisce lui: «Il tempo per me è estremamente dilatato. Da quando è iniziato tutto, nemmeno due anni fa, mi sono accorto che lo vivo in maniera diversa. Faccio fatica a ricordarmi cosa facevo prima di trasferirmi da mio papà. Mi sembra passata una vita, ma in realtà sono solo poche settimane».
Come tanti caregiver, ha imparato a gestire tutto da solo: le medicazioni notturne, l’accompagnamento in bagno, i farmaci del mattino, convincerlo a fare colazione – «cosa che non aveva mai fatto in 60 anni», dice sorridendo. Ma anche le piccole e grandi sfide dell’assistenza quotidiana, come affrontare i quattro gradini all’ingresso di casa. «Ogni lunedì ha la sua sfida», racconta. «Sicuramente un’esperienza in più».
Il coinvolgimento è totale. E il peso, anche quando non si mostra, si fa sentire.
«Quando sei in questa situazione ti metti sempre all’ultimo posto. Ma se tuo padre si accorge che sei afflitto, questo ha delle ripercussioni su di lui. Allora cerchi di non farglielo vedere. È una gara a chi finge meglio».

Quando le energie non bastano più, è importante chiedere aiuto e ricevere il giusto supporto. «Conoscevamo già VIDAS: mia madre era stata seguita da loro e quando è giunto il momento mio padre ha chiesto esplicitamente di essere assistito da loro. È stata una buona scelta. Per me la cosa più importante era non avere altri pensieri. Perfino le scartoffie e le ricette mediche mi pesano terribilmente».
E se non è facile delegare, affidarsi, cedere il controllo, in questo caso è stato possibile. «Io sono una persona che si fida poco. Ma mi sono trovato molto bene. Visitano mio padre anche quando io non ci sono, e per me è importante vederlo sereno e senza dolori. Più di qualunque altra cosa».
Oggi Federico affronta ogni giorno con lucidità e con una leggerezza consapevole. «Papà ha deciso di morire col sorriso. Cercheremo di seguire il suo esempio. Quando usciamo con gli amici non trattiamo nulla con serietà, si viene per quello: per ridere ancora, insieme».

E nei momenti difficili? «Mi aiuta godermi le piccole cose. Un capitolo nuovo del fumetto che seguo. Un pranzo in compagnia. Basta quello per migliorarmi la settimana».
Nessuno è davvero pronto a diventare caregiver. Ma ogni percorso di cura, anche il più impegnativo, può diventare più sostenibile se non si è lasciati soli.