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23.01.2018  |  Volontari

La forza del silenzio

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Penso, e lo penso veramente, che ognuno di noi abbia un dono speciale che lo rende ancora più unico. Giovanni, volontario da poco più di un anno, è riuscito a dare voce alle emozioni, ai sentimenti contrastanti, a quel senso di colpa, che colpa non è, che emergono quando ti devi accomiatare da qualcuno, al pensiero dell’abbandono così vicino all’essere abbandonato e, infine, alla gratitudine per i tanti che ci fanno entrare nelle loro vite con generosità quando di vita ne resta veramente poca.

È sabato sera. Da poco abbiamo terminato di servire la cena agli ospiti e ai loro cari. Un momento delicato, intimo, che solo un occhio distratto potrebbe leggere come semplice routine.

Mi affaccio alla soglia della camera “Mimosa” dove è ospite un signore anziano, solo, spaventato, disorientato. So già qualcosa di lui e della sua storia dal turno del giorno prima.

Davanti agli occhi mi si presenta un piccolo uomo infreddolito, mezzo nudo dato che continua a spogliarsi. Penso sia di origini molto umili, forse quasi analfabeta, palesemente impaurito perché, oltre a una certa demenza senile che gli ha fatto in parte perdere il contatto con la realtà, vive su di sé lo shock di essere stato strappato al suo ambiente familiare. Insomma, sta proprio male.

D’accordo con una oss, decido di fermarmi con lui sperando si calmi. All’inizio mi coglie un certo smarrimento: si lamenta in un dialetto del Sud di cui non capisco nulla. Mi siedo al suo fianco e, con voce calma, cerco di rassicurarlo e di fargli sentire che c’è qualcuno vicino, una presenza, qualcuno che sarebbe stato con lui fino a quando si fosse calmato almeno un po’. Poi, come già mi è capitato in altri momenti, decido di cambiare “tipo” di comunicazione e dirgli che la mia vicinanza, se lo desidera, è anche “tangibile”. Così, oltre alle carezze, gli chiedo che sia lui a stringermi la mano, a decidere di tenermi lì, a dirmi se il mio esserci può significare un seppur minimo sollievo. Lo fa con tutte le sue forze, tanto che non mi lascia più. Piano piano inizia a calmarsi: è un’emozione potente, che le parole non possono restituire. Mi accorgo che anche per me in quegli attimi il silenzio esprime la lingua dell’accoglienza.

Trascorrono una ventina di minuti e lui si addormenta. Ho gli occhi lucidi, ma al tempo stesso sento una pace intima. Per un istante mi sembra di aver visto più chiaramente, di aver colto “l’essenziale”, così tante volte invocato ma che forse nessuno sa bene cosa sia.

Il momento più delicato è quando devo lasciare la stanza, l’istinto sarebbe quello di trascorrere – se fosse necessario – anche tutta la notte con lui. Poi però capisco che devo fermarmi, sostare con le mie emozioni, imparare ad allontanarmi in punta di piedi così come sono entrato, portando con me il suo volto e la preziosa carica ricevuta, unita a un profondo senso di gratitudine per avermi accolto. Rifletto ancora e mi dico che, anche se difficile, è importante averlo ben chiaro, perché tutte le volte ci sarebbero infiniti motivi per non abbandonare questo luogo così pieno di vita e di senso.

 Giovanni

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