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30.03.2016  |  Operatori

Le cure palliative come le intendevo io esistono

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Al termine del suo tirocinio in Vidas, ho chiesto a Mary, medico oncologo in formazione presso l’università di Bologna, se avesse voglia di contribuire al nostro blog perché è da qualche tempo che non vi aggiorno sulla formazione. E lei mi ha fatto un grande regalo: ha voluto condividere con noi tutti ciò che ha scritto sul suo diario personale ad ogni fine giornata, dicendomi: “Ti rinnovo il mio grazie per l’accoglienza nella vostra organizzazione e per avermi fatto vedere che i sacrifici talvolta pagano davvero e che le cure palliative come le intendevo io nel mio cuore da sempre esistono”.

14/03/16, lunedì
Primo giorno in Vidas. Sono stata accolta dalla dr.ssa Barbara Rizzi. Piccola, minuta, con una grande energia vitale.

Il diario di Mary, tirocinante in vidasLa prima cosa che ti colpisce di quella struttura è che non vi è silenzio. Senti persone parlare, ridere. Se tu sorridi rispondono tutti con un sorriso. Barbara mi spiega che lavorano su tre setting: domiciliare, residenziale e Day Hospice con Long Day, una realtà nuova, destinata ai pazienti che necessitano un aggancio alle cure palliative, ma non hanno ancora bisogno o non sono “pronti” ad una assistenza domiciliare.

Scopro una nuova figura: quella della Terapista occupazionale. E già… perché cosa fanno i pazienti mentre aspettano la loro visita in Day Hospice? Questa persona particolare ha il compito e la capacità di occupare il tempo dei malati, facendoli fare anche cose manuali (ad esempio in quei giorni chi sa lavorare a maglia lavora alla creazione di una coperta), facendoli sentire utili, vitali, attivi e facilitando la relazione tra le persone.
Ho passato la mattina al piano terra, dedicata alla attività diurna, con il medico (Fabrizio) e l’infermiera (Cristina) del Day Hospice.
La prima cosa che ti colpisce è la complicità tra i due operatori. La sintonia perfetta pur lavorando da poco tempo insieme e l’estrema preparazione tecnica di Cristina.
Non si parla di malattia se non è il malato a introdurre l’argomento, ma si parla di vita. L’aspetto medico e infermieristico è minimo. La stessa struttura ambientale dove si svolge il colloquio e la visita sono strutturati per facilitare l’ascolto e la confidenza. I pazienti appaiono comunque molto consapevoli di dove sono e perché sono lì.
La cartella è informatizzata: ciascuno degli operatori scrive la sua parte in modo indipendente, confrontandosi sulle proprie impressioni.

La seconda parte della giornata l’ho passata con Chiara, assistente sociale che si occupa del primo colloquio con i pazienti/parenti che chiedono la presa in carico. Chiara mi spiega che hanno 20 camere di degenza: 16 accreditate e 4 a carico loro per i pazienti che non hanno una assistenza sanitaria, quale è ad esempio lo straniero extracomunitario. Il territorio  coperto è veramente vasto e da qualche anno si occupano anche dei bambini.
Ti colpisce l’impegno e lo sforzo di questa realtà a superare gli ostacoli burocratici che pazienti e familiari incontrano spesso lungo il decorso della loro malattia. Ti colpisce che non ci siano regole troppo strette, poiché il bisogno primario del paziente e della sua famiglia è al centro del piano di cura e si fa di tutto per superare gli ostacoli amministrativi. Chiara ti cambia il concetto di assistente sociale, in senso positivo.

15/03/16, martedì
La mattina inizia con la coordinatrice infermieristica Lia. Mi spiega che stanno partendo con un nuovo progetto per migliorare la qualità di assistenza ai malati ricoverati in Hospice. Studio pilota, dimostrazione dei vantaggi che ne deriveranno per i pazienti, autorizzazione ed investimento (anche economico) dell’amministrazione in un progetto che porterà anche alla valorizzazione del lavoro e della professionalità del personale infermieristico. È bello vedere l’entusiasmo di questa donna, che non nega che ci sono problemi come nelle migliori famiglie, ma consapevole comunque di avere un bel gruppo e felice di andare al lavoro tutte le mattine.

Il resto della giornata la passo con Paola, medico oncologo che una mattina ha mollato tutto e si è rimessa in gioco qua in Vidas. Paola fa prevalentemente il domiciliare ma copre anche i turni in Hospice. Loro vedono i malati sempre con l’infermiere. È in borghese. Entrare nelle stanze è proprio come entrare nelle camere di una casa. Gli strumenti sanitari che si portano sono il minimo: un fonendoscopio ed uno sfigmomanometro; la cartella (rigorosamente elettronica e sincronizzata) la si compila dopo con calma. Alle due ci sono le consegne. Ci sono le psicologhe, i volontari, gli OSS, la fisioterapista e i volontari: ci sono proprio tutti e ciascuno riporta le sue impressioni sui malati ricoverati e si ricostruisce il vissuto del paziente e della famiglia.

16/03/16, mercoledì
Bene oggi si inizia con Mauro, fisioterapista. Mauro ha iniziato la sua vita lavorativa aiutando i malati ad alzarsi da un letto, a recuperare autonomia e funzionalità. Poi un giorno decide di fare il percorso della chiocciola all’inverso. Si parte da una autonomia più o meno compromessa sino all’ultimo istante, cercando di ridurre al minimo il gap. Assiste a tutte le prime visite in Day Hospice e va a trovare i pazienti a casa per ripensare alla organizzazione strutturale degli spazi.
È meraviglioso vedere la sua attenzione, il suo sguardo, la sua professionalità e “affetto” rivolgersi anche al caregiver, poiché paziente e caregiver sono un tutt’uno nel vero spirito delle cure palliative.

Il pomeriggio mi invitano alla loro riunione plenaria. Ci sono tutti gli operatori di Vidas. E partecipo alla loro riunione per la revisione della cartella informatizzata. Sto zitta. Osservo, ascolto… ma ho comunque l’impressione che se dicessi qualcosa prenderebbero appunti. Ma è il loro strumento di lavoro e quindi sto li e li osservo lavorare insieme per migliorarsi anche dal punto di vista degli strumenti.

17/03/16, giovedì
Si parte per Monza: appuntamento davanti le fontane del binario 7 con Donatella, infermiera dell’assistenza domiciliare dell’area nord. Oggi è la mia giornata a casa dei malati ed inizia con la notizia della morte di una paziente; andremo a trovare la famiglia nella tardi mattinata. Entro in punta di piedi, mi sento di troppo in un momento così delicato: mi accolgono come una dell’équipe.

Un’altra paziente, invece, mi ha soprannominata “la piccinina”, accogliendomi come colei che muove i primi passi in quel mondo. Donatella è molto brava a ridimensionare gli obiettivi dei malati domiciliari, pur mantenendo un atteggiamento positivo e propositivo. Lei si occupa anche dei bambini e mi spiega quanto impara ogni giorno da queste mamme meravigliose. Vado a casa soddisfatta. È stata una giornata veloce tra medicazioni e confidenze, ed è stata una giornata quieta nonostante le storie e i problemi che ho visto, poiché in ogni casa mi è sembrato che si portasse un briciolo di serenità.

18/03/16, venerdì
È l’ultimo giorno. Sono un po’ emozionata. Mi fermo da Lia e parliamo ancora delle difficoltà che si incontrano a fare questo lavoro. Mi aggiorna sui nuovi ingressi e su chi se ne è andato. Faccio il giro con Fabrizio e ricoveriamo un paziente che ho conosciuto in Day Hospice. È un po’ più arrabbiato, ma con la moglie: con il personale è sempre cortese e gentile. Sono contenta di concludere in degenza, perché mi permette veramente di concludere un piccolo cerchio.

Questa breve settimana di tirocinio è stata una bella esperienza. Ho potuto toccare con mano che la rete ideale che ritrovi nelle normative e nella letteratura non è una utopia. L’istituzione di un Long Day che permette di agganciare molto precocemente i pazienti permette agli operatori di costruire un percorso vero con i pazienti e le famiglie e di scegliere con loro il miglior setting di cura nelle varie fasi della malattia. Ho visto operatori che credono veramente nelle cure palliative, dove l’obiettivo primario è soddisfare i bisogni del microcosmo del paziente. Certo, le difficoltà sono tante sia emotive, sia economiche, ma la volontà di tutti a crescere e migliorarsi credo sia la linfa vitale di questa organizzazione.

Io mi sono portata a casa un modello di assistenza, la consapevolezza che se ci credi e lavori duramente puoi realizzare il vero spirito delle cure palliative. Con tutte le difficoltà a lavorare con un estraneo che ti gironzola intorno, che vuole sapere come funziona ogni minima cosa, mi sono sentita accolta nel vero senso della parola.

 

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