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24.04.2023  |  Racconti

Mi prendo cura di quel che sta alla base del senso che diamo alla vita

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Caterina è l’assistente spirituale di VIDAS, una figura laica che sostiene chi attraversa, alla fine della vita, la crisi e la perdita di senso.

di Caterina Giavotto

Sono diventata assistente spirituale in VIDAS perché mi è stato chiesto e ho ritenuto fosse un grandissimo privilegio. Avevo alle spalle un percorso lungo 15 anni, come volontaria, durante i quali ho sperimentato in profondità la realtà del fine vita e il contatto con i pazienti – e un ancor più lungo percorso interiore, cominciato quando avevo appena 11 anni, grazie all’incontro con il buddhismo e i primi monaci tibetani arrivati in Italia negli anni Settanta. Molti anni dopo ho frequentato una scuola di alta formazione sull’accompagnamento spirituale, un master universitario in tanatologia e un secondo in neuroscienze, mindfulness e pratiche contemplative e, infine, un corso di accompagnamento empatico ai morenti.

La mia vita è stata segnata, e divisa in due, da una diagnosi di cancro, ricevuta dieci anni fa, e da una malattia che mi ha indotto a cambiare vita per dedicarmi a tempo pieno alla cura dei malati inguaribili.

Oggi mi prendo cura dei bisogni spirituali di pazienti e operatori – ovvero di quella ricerca di senso che tutti ci portiamo dentro e che nella difficoltà, nel fine vita, ma anche nella malattia, emerge spesso in modo prepotente. La spiritualità non è legata a una fede religiosa – mantengo la più limpida laicità di mandato – ma è una dimensione interiore, che sostiene il sistema di valori che danno direzione alla vita e può elevarsi fino a una dimensione trascendente, che ci colloca in una cornice più ampia di noi.

Cosa faccio in concreto? Porto l’esempio di una signora, in cura al domicilio, che, incontrandomi, mi ha detto di non voler “morire con questi pesi sul cuore”, riferendosi ad azioni del suo passato che le generavano forti sensi di colpa. Ci siamo concentrate su una serie di meditazioni collegate all’amorevole gentilezza verso di sé, perché potesse anzitutto perdonare se stessa, per compiere poi un piccolo rituale simbolico. Abbiamo deposto le sue azioni in una scatola che ho ‘liberato’, per conto suo, nelle acque di un fiume. Era così sollevata, ho capito di averla aiutata davvero.

Questo articolo è stato tratto dal Notiziario VIDAS. Leggi l’ultimo cliccando QUI

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