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L’importanza del gioco per lo sviluppo e la salute dei bambini

Il gioco rappresenta il più alto grado dello sviluppo mentale del bambino, in quanto rappresentazione libera e spontanea del suo mondo interiore. Liberando la sua fantasia, manipolando la realtà e adattandola al suo specifico universo, il bambino riesce a esplorare il mondo esterno in tutti i suoi aspetti. Per questo motivo le attività ludiche giocano un ruolo fondamentale nella crescita dei bambini malati. In un precedente articolo abbiamo parlato del ruolo del gioco nei bambini malati inguaribili. Oggi, invece, grazie al contributo di Marta Scrignaro, educatrice in Casa Sollievo Bimbi, vediamo nello specifico quali sono alcune delle attività ludiche più efficaci in questi casi e l’importanza del gioco per la loro salute.

Come il gioco migliora la qualità della vita dei bambini affetti da patologie gravi

Prima di passare alle attività vere e proprie, però, cerchiamo di capire in che modo e perché il gioco è così importante per la salute dei bambini malati inguaribili. A prescindere dalla malattia di cui sono affetti e dalle loro aspettative di vita, i bambini e i ragazzi con patologie gravi rimangono sempre e comunque bambini e ragazzi, con il bisogno di giocare per stare bene e per imparare. Basti pensare che l’etimologia greca della parola “gioco” (“Paignion”), ha la stessa radice di “Pais” (“bambino”) e “Paideia” (“educazione”)!

Di seguito le parole dell’educatrice di VIDAS in merito all’argomento:

Il gioco rappresenta per il bambino l’attività più congeniale e spontanea. Nella dimensione ludica il bambino libera la sua fantasia, dà voce a tutto il suo mondo interiore, crea e lascia un segno nella realtà adattandola al suo specifico universo, esplora il mondo esterno nei suoi aspetti fisici e sociali.

I bambini che vivono una condizione di malattia vivono numerose esperienze di ospedalizzazione che interrompono bruscamente la loro quotidianità allontanandoli dai loro ambienti consueti e soprattutto dai loro affetti. Essi si ritrovano in luoghi ristretti, dove le abitudini ospedaliere e l’ambiente stesso riducono il tipo di attività che sono abituati a praticare e possono interrompere il loro sviluppo naturale.

I loro corpi sono spesso corpi feriti (funzioni corporee vitali colpite, alterazione del tono muscolare e dello scheletro), corpi invasi da elevati atti medici, corpi separati dai loro famigliari e affetti, che vivono pertanto insicurezza, paura, angoscia, dolore e condizioni di privazione sensoriale che rischiano di trasformarsi nel tempo in apatia, passività, isolamento o ipereccitazione, stereotipie (autostimolazioni, autolesioni). Il gioco diviene così un’“ancora di salvezza” per i bambini che si trovano a vivere una condizione di malattia permanente, proprio perché restituisce loro identità e possibilità di esserci”. 

Il gioco come mezzo di comunicazione

Oltre ad essere importante per la salute fisica e psicologica del bambino, e per la sua educazione, il gioco è fondamentale per un altro ruolo che ricopre, ossia quello di vero e proprio mezzo di comunicazione alternativo alla parola. Nel gioco il bambino trova uno spazio naturale di narrazione di sé e di autoespressione, attraverso il quale può esprimere e consegnare i suoi sentimenti, i suoi desideri, le sue aspettative e le sue paure o delusioni.

Come ci ricorda Gamelli nel suo libro “Pedagogia del corpo”, ogni bambino è un corpo che sente e conosce sperimentandosi all’interno di polarità e di contrasti (equilibrio-disequilibrio, dentro-fuori, vicino-lontano, tensione-rilassamento etc.), rintracciabili in tutti i giochi che mette in scena. Dondolare, girare, cadere, assaporare la vertigine, il limite dell’equilibrio, toccare, costruire, smontare… sono tutte condizioni di quell’unica ricerca dell’esperienza di un sé corporeo vissuto, in grado di dare senso al mondo.

Le tipologie di gioco più efficaci per i bambini malati

A causa delle gravi compromissioni e dei limiti che le patologie inguaribili impongono ai bambini malati, questi non sempre possono esprimersi e sperimentarsi con i giochi appena elencati.

Nei bambini che incontriamo, queste esperienze non possono essere vissute spontaneamente a causa della malattia. Per queste ragioni ritengo maggiormente efficaci quei giochi che permettono al bambino di restituire loro delle stimolazioni controllate, in grado di elicitare un’esperienza esplorativa di sé e del mondo positive. Si tratta per lo più di giochi che stimolano un’esperienza di integrazione sensoriale”.

Significative in questo senso sono le storie di Matilde e Virginia, due piccole grandi pazienti di Casa Sollievo Bimbi. Matilde, nata a gennaio del 2021, riporta un danno cerebrale dalla nascita, con difficoltà a livello motorio, visivo e uditivo. Virginia, nata nel 2006, ha sviluppato alla nascita una malattia ancora oggi senza diagnosi e prognosi, che si traduce in una condizione di ritardo neuropsicomotorio. Grazie ai medici, agli educatori e a tutta l’équipe di VIDAS, entrambe hanno conosciuto un nuovo mondo. Grazie alle attività ludiche, invece, hanno imparato nuovi modi di comunicare.

Ogni sorriso di Matilde è una vittoria:

Aiutare ad aprirsi al mondo:

L’esperienza di VIDAS

Abbiamo chiesto a Marta di raccontarci un’esperienza particolare vissuta in VIDAS, un caso in cui si sono riscontrati degli evidenti miglioramenti e cambiamenti nella situazione del bambino malato inguaribile, grazie al gioco e a delle attività ludiche pensate per la sua specifica situazione.

Sono molteplici le esperienze che potrei raccontare, perché l’incontro con ciascun bambino e il percorso vissuto è unico e irripetibile, anche nella ricchezza che restituisce a me come professionista.Posso raccontarvi il percorso di gioco multisensoriale condotto per un anno intero all’interno del nostro servizio di Day Hospice, con un ragazzo di 14 anni affetto da una sindrome rara che manifestava una condizione di chiusura e isolamento, sia rispetto alle altre persone sia rispetto agli oggetti. Abbiamo così incominciato un viaggio attraverso molteplici materiali, sollecitando di volta in volta diversi canali sensoriali. Abbiamo scoperto insieme che il collo e la schiena sono per lui i punti di apertura al mondo. Con calma e pazienza gli abbiamo proposto di incontrare oggetti diversi iniziando a conoscerli dalla schiena. Si è poi aperto sempre di più, fino a esplorarli anche con le mani. Oggi ha molto meno paura di materiali e persone sconosciute, sostiene lo sguardo, riconosce noi operatori, ci cerca nella stanza, esprime delle preferenze non legate alla paura del nuovo.”

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