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07.10.2025  |  Operatori

Alimentazione nei malati inguaribili: la nutrizione nel fine vita

Alimentazione e cure palliative: nutrizione enterale e parenterale, idratazione nel fine vita e significato emotivo del cibo. Leggi la guida di VIDAS per pazienti e famiglie.

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alimentazione malati inguaribili

Alimentare una persona con una malattia inguaribile non significa soltanto “darle da mangiare”, ma rientra in un contesto più ampio che prevede la presa in carico globale del suo corpo e del suo spirito, al fine di migliorare la sua qualità di vita.
Nel contesto delle cure palliative, l’alimentazione assume, infatti, un valore diverso: non strumento per sconfiggere la malattia, ma mezzo per sostenere la qualità della vita, il conforto e il senso di sé.

Con il supporto di Sonia Mendes, dietista VIDAS e Francesca Brandolini, Responsabile Area Psicologica, esploreremo il ruolo dell’alimentazione nelle fasi finali della vita: dagli obiettivi alle differenze tra nutrizione enterale e parenterale, fino alle riflessioni pratiche ed etiche che aiutano a restare davvero vicini a chi vive questo tratto di strada.

Il ruolo dell’alimentazione artificiale nelle cure palliative

Parlare di alimentazione nel fine vita significa affrontare un tema delicato e complesso, che intreccia bisogni nutrizionali, affetti, ricordi, emozioni e il senso stesso della dignità. Nella nostra cultura cibo è sinonimo di vita, di piacere e di condivisione. La sua gestione va, quindi, considerata con attenzione, sia per i risvolti clinici sia per quelli psicologici.

Quando il corpo non riesce più a sostenere il nutrimento orale in modo sufficiente, l’équipe multidisciplinare di cure palliative valuta lo stato nutrizionale e se intervenire con l’alimentazione artificiale. Questo non significa “forzare” il pasto: si decide in base al bilancio tra benefici e rischi, nell’ottica della dignità e del conforto.

La nostra dietista Sonia ci spiega meglio:

“L’alimentazione non è solo nutrimento, ma anche piacere e conforto. Un buon stato nutrizionale contribuisce a migliorare la qualità della vita del paziente. La gestione dell’alimentazione del malato dovrebbe includere delle strategie per facilitare il controllo dei sintomi e del dolore, oltre che a evitare la malnutrizione per difetto, che è spesso presente in questi pazienti. Per il mantenimento dello stato nutrizionale si possono anche usare alimenti fortificati e/o supplementi nutrizionali. Inoltre, è importante coinvolgere i familiari e i caregiver nella gestione della terapia dietetica attraverso formazione e educazione alimentare”.

Alimentazione, nutrizione e idratazione sono parte integrante della gestione del o della paziente, sia in fase precoce sia in fase avanzata di malattia, in particolar modo quando la terapia prevede il ricorso a cure palliative o terapie del dolore.
La perdita di appetito è frequente con il progredire della malattia, spesso legata a nausea, vomito, ansia e ridotto apporto alimentare.
È quindi fondamentale un intervento nutrizionale e dietetico mirato, per prevenire la malnutrizione e gestire le complicanze che possono incidere sullo stato nutrizionale della persona. 

Sonia entra ancora più nel dettaglio delle differenze di alimentazione nelle varie fasi della malattia: 

Con il progredire della malattia può arrivare il momento in cui il paziente non è più in grado di alimentarsi ed idratarsi in modo adeguato. Una soluzione può essere l’utilizzo della Nutrizione Artificiale (NA), che consente al paziente di acquisire i nutrienti di cui ha bisogno, attraverso un sondino naso-gastrico o per via endovenosa. La NA può integrare l’alimentazione per bocca fino a quando è possibile oppure essere usata esclusivamente. Nella gestione terapeutica del paziente mantenere una buona alimentazione e un’idonea idratazione, intervenire precocemente con le aggiunte necessarie, apportare le opportune modifiche per mantenere adeguato l’apporto calorico, proteico e idrico aiuterà il paziente ad affrontare nel modo migliore la progressione della malattia”.

Obiettivi dell’alimentazione nei pazienti terminali

Nelle cure palliative, l’alimentazione artificiale non ha come scopo la guarigione. È piuttosto un accompagnamento che può assumere diverse funzioni. L’alimentazione può infatti contribuire a:

Questi obiettivi non vanno intesi in modo astratto ma collocati dentro una storia di cura, che cambia con il progredire della malattia. Ci sono momenti in cui il sostegno nutrizionale ha un impatto concreto, altri in cui diventa più simbolico che realmente utile. In ogni caso, al centro resta sempre la persona, con i suoi bisogni, la sua dignità e le sue volontà, che guidano ogni decisione condivisa con familiari e équipe curante.

I risvolti emotivi e relazionali del cibo

Il cibo non è solo nutrimento. È memoria, affetto, dignità, vitalità, piacere e condivisione. Nella nostra cultura mediterranea, la convivialità a tavola è parte dell’identità collettiva: per questo la perdita di appetito è vissuta come segno doloroso, soprattutto dai familiari e dai caregiver, che la associano al peggioramento della malattia.

Francesca Brandolini, Responsabile Area Psicologica VIDAS, ce ne dà testimonianza:

Durante le nostre assistenze ci capita sovente di raccogliere lo sconforto dei pazienti, che nel loro non riuscire più a nutrirsi come prima si sentono privati di una parte essenziale della propria identità relazionale, ma ancor più dei parenti, che interpretano la progressiva diminuzione dell’appetito come il segno ineluttabile della malattia che avanza e spesso si sentono in dovere di tentare il tutto e per tutto pur di non far “morire di fame” il loro caro, chiedendo magari all’équipe curante di intervenire con alimentazione e idratazione artificiale, anche in situazioni in cui quelle pratiche non hanno alcun senso clinico”.

In questo contesto, gli psicologi e le psicologhe hanno il ruolo fondamentale di accogliere e comprendere quella fatica e quel dolore, mettendosi nei panni dei pazienti e dei familiari, per poi accompagnarli nella graduale consapevolezza di ciò che sta accadendo, anche se si tratta di un processo emotivamente impegnativo. Le famiglie possono essere aiutate ad attingere alla loro storia e alle loro tradizioni per individuare nuove modalità di stare insieme, che non passino necessariamente attraverso la condivisione delle stesse pietanze, ma magari attraverso la valorizzazione dei ricordi, la riconoscenza reciproca.
Una persona che non può più alimentarsi come prima e che si avvicina alla fine della propria esistenza ha bisogno di essere aiutata a riconoscere che tutto il buono e il bene che c’è stato, e che è passato anche attraverso la condivisione della tavola, resterà un patrimonio incancellabile.

Un esempio è il ricordo condiviso da Francesca, che ci dimostra come il cibo abbia rappresentato in quell’occasione un anello di congiunzione importante tra la vita e la morte:

Porterò sempre nel cuore il ricordo della signora Milena che alcuni anni fa, sapendo che avevo due bambine, in occasione di uno dei nostri ultimi colloqui mi fece trovare un piccolo taccuino su cui aveva ricopiato con bella grafia una dozzina di ricette dolci: erano le sue ricette del cuore, quelle con cui tanti anni prima aveva cresciuto i suoi figli, e che ora consegnava a me affinché non finissero con lei ma continuassero a rendere felici altri bambini”.

Alimentazione orale e nutrizione enterale e parentale (PEG e flebo)

L’alimentazione orale è il modo “naturale” di nutrirsi, ovvero l’assunzione di cibo e liquidi tramite bocca. Quando è possibile, anche in fase avanzata di malattia, va favorita e sostenuta, perché offre piacere, relazione e senso di normalità.
L’alimentazione artificiale (NA) è un trattamento medico che subentra nel momento in cui il paziente non è in grado di alimentarsi e idratarsi adeguatamente in maniera naturale, permettendogli quindi di assumere i nutrienti di cui ha bisogno.
La nutrizione artificiale si può integrare con l’alimentazione per bocca, se ancora è possibile, oppure può essere usata in maniera esclusiva.

Esistono due tipi di alimentazione artificiale:

L’enterale è preferibile quando il tratto digestivo è funzionante, perché mantiene la funzione intestinale, appare più fisiologica, è meno costosa e presenta generalmente minori complicanze rispetto alla parenterale.
Tuttavia, in generale, l’adozione della nutrizione artificiale nel fine vita non garantisce necessariamente un allungamento della vita: nelle fasi terminali, le evidenze suggeriscono che il supporto nutrizionale non sempre migliora la sopravvivenza o la qualità della vita, e può comportare rischi (infezioni, discomfort, sovraccarico).

Quanto si può vivere con la peg?

Non esistono dati universalmente validi. Il posizionamento di una PEG può essere valutato quando si prevede che la nutrizione enterale sarà necessaria per più di 6‑8 settimane. Tuttavia, l’inserimento di una PEG non garantisce un prolungamento significativo della vita, specialmente se la malattia è già in una fase avanzata con prognosi limitata.

Quanto si sopravvive con il sondino naso-gastrico?

Il sondino naso-gastrico è pensato per un uso a breve/medio termine (massimo 6/8 settimane), per evitare complicanze locali (irritazione nasale, lesioni esofagee). 

In pratica, non è corretto affermare una “sopravvivenza media” esclusiva per sonda: la durata è condizionata dalla malattia sottostante, dallo stato generale e dalla possibilità (o meno) di passare a modalità più sostenibili.

Alimentazione con flebo: quanto si può vivere?

La nutrizione parenterale può essere utilizzata quando l’apparato digerente è non utilizzabile. In teoria, se ben gestita, può sostenere la persona per un tempo esteso, ma nel contesto di malattie inguaribili va valutata con molta cautela. Non ci sono stime precise universalmente accettate sul tempo di vivere con nutrizione parenterale, perché dipende moltissimo da fattori come la malattia di base, le complicazioni, la funzionalità d’organo, le infezioni, lo stato immunitario.

Il ruolo del team multidisciplinare

La gestione dell’alimentazione nei pazienti inguaribili non può essere delegata a un unico professionista: serve un approccio integrato. Se il medico si occupa di benefici, rischi, stato clinico, compatibilità con la malattia e consenso informato, il o la dietista mette a disposizione dell’équipe e del paziente le sue competenze al fine di effettuare una valutazione dello stato nutrizionale, così da stimare i fabbisogni nutrizionali e verificare se questi sono raggiunti. A queste due figure si aggiungono psicologi e infermieri, che si occupano rispettivamente degli aspetti psicologici e pratici del supporto al/alla paziente e alla sua famiglia.

Ed è proprio la famiglia a rivestire un ruolo importantissimo, essendo parte attiva nel mantenimento pratico e nell’assistenza quotidiana. Proprio per questo abbiamo creato una sezione dedicata ai caregiver, con consigli e suggerimenti per prendersi cura al meglio dei propri cari.

Solo insieme si può garantire che l’alimentazione artificiale diventi un gesto attento, non meccanico, che accompagni con umanità fino all’ultimo giorno. 

Principali sfide e considerazioni etiche

Secondo la legge 219/2017, nutrizione e idratazione artificiali sono trattamenti sanitari e possono essere rifiutati o revocati. Ogni decisione deve tenere conto delle volontà espresse, del bilancio tra benefici e pesi e della dignità della persona. In questo senso il consenso informato diventa uno strumento centrale: permette alla persona di essere parte attiva delle scelte di cura, di conoscere le implicazioni e di esprimere la propria volontà con consapevolezza. Non sempre è facile distinguere tra trattamento utile e accanimento terapeutico: per questo serve un confronto continuo con l’équipe e la famiglia, così che la decisione resti condivisa e rispettosa della dignità di chi sta vivendo la malattia.

Quanto può sopravvivere un malato terminale senza alimentazione?

In assenza di alimentazione o idratazione, il corpo entra in uno stato progressivo di deperimento. Non esiste una stima precisa che valga per tutti, ma molti studi concordano che la vita può restringersi a giorni o poche settimane, a seconda della condizione clinica, delle riserve corporee e della presenza di cure palliative attive (controllo del dolore, idratazione minima, comfort).

In alcuni casi, sospendere la nutrizione artificiale non causa dolore, se viene gestito bene il supporto sintomatico: il corpo “si adatta” gradualmente alla riduzione dei nutrienti, e l’attenzione resta centrata sul sollievo e sulla presenza.

Conclusioni e raccomandazioni pratiche

L’alimentazione nel fine vita non è mai un atto meccanico: è scelta che va calibrata sulla persona, sulla dignità e sui limiti del corpo.
La nutrizione artificiale (enterale o parenterale) può essere utile in situazioni selezionate, ma non è una risposta definitiva e non garantisce per definizione la sopravvivenza.

È, quindi, fondamentale il coinvolgimento di un’équipe multidisciplinare, un confronto costante con la persona e la famiglia, e un atteggiamento flessibile: si può iniziare, modificare, sospendere. Inoltre, in presenza di volontà espresse attraverso le DAT – Disposizioni Anticipate di Trattamento, queste vanno accompagnate e rispettate.

Noi di VIDAS siamo al fianco delle persone che affrontano una malattia inguaribile e delle loro famiglie anche in questo percorso, fatto di domande, scelte e ascolto. Lo facciamo ogni giorno a domicilio e nei nostri hospice (Hospice Casa Vidas e Hospice Pediatrico Casa Sollievo Bimbi), dove prendiamo in carico ogni aspetto della cura, compresa l’alimentazione. Offriamo consulenze nutrizionali, accompagniamo nelle valutazioni, aiutiamo a distinguere ciò che serve davvero da ciò che rischia di diventare un peso. Lo facciamo con competenza, con amore e con rispetto, perché crediamo che ogni persona meriti conforto e dignità, sempre, fino all’ultimo istante.

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