di Giada Lonati
Direttrice sociosanitaria
“Il tempo della comunicazione è tempo di cura”, laddove riconosciamo che cura e curiosità hanno la stessa radice. Questo è il modo in cui le cure palliative dovrebbero incontrare l’altro, in una posizione di domanda, più che di giudizio.
In un tempo in cui cambia l’orizzonte della cura, in cui la provenienza geografica e culturale, i modelli di vita e di famiglia, l’identità di genere rendono ancora più delicato l’incontro con l’altro, diventa ancora più attuale trovare un metodo per porsi in relazione.
Un tempo che è fatto di bisogno di comprensione prima che di accettazione, di equilibrio sottile tra illusione e speranza (quanto cura in questo la cura delle parole!), di consapevolezza che il tempo dell’orologio, il chronos, non condivide il ritmo con kairos, il tempo percepito, vissuto, quello che sfugge.
Oggi affrontiamo un tempo in cui la cura non può prescindere dalla ricerca del senso con cui riempiamo il tempo della vita. Leggere il tempo significa ancora di più essere consapevoli che curare la vita oggi significa integrare sempre più profondamente la finitudine nell’orizzonte del nostro presente, costruire tutti insieme e ciascuno per le sue competenze una pedagogia della finitudine.
Educarci ad assumerci il rischio – come VIDAS ha fatto con coraggio per oltre 40 anni – di chiamare le cose con il loro nome, a partire dalla parola morte, di portare questo messaggio in ambiti dove è il grande tabù. A cominciare dagli ospedali, dove si sente una necessità estrema di ridare dignità al processo del morire, passando per le RSA, per la formazione, l’informazione e la comunicazione, ovunque siamo chiamati a farlo, in particolare nelle scuole.
Significa cambiare lo sguardo sui nostri pazienti. Uscire dalla zona di comfort dell’end-of-life e avventurarsi nel terreno difficile dei pazienti non oncologici, delle cure palliative precoci, come abbiamo fatto con un pizzico di follia e infinito amore per la cura, con il progetto pediatrico.
Leggere il tempo che stiamo attraversando significa imparare a lavorare insieme in un modo diverso, dentro e fuori VIDAS. Dentro perché VIDAS non è più un piccolo gruppo di persone appassionate ma a ciascuno di noi (a ciascuno) è affidato il compito di farlo diventare una grande organizzazione di persone altrettanto appassionate. Cambiare è faticoso e, a tratti, doloroso, ma inevitabile.
Fuori perché è tempo di costruire nuove équipe per nuovi pazienti, con umiltà e caparbietà, con quello stile che ci ha insegnato Giovanna Cavazzoni. Guardare lontano, sempre, senza smettere di stare attenti ad ogni passo.
Questo articolo è tratto dal Notizario “Insieme a VIDAS”.
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