Sara e Alice sono sorelle. E fino all’anno scorso si sono prese cura del padre, Attilio, ammalatosi di SLA. Una diagnosi che è arrivata all’improvviso, dopo un ricovero breve, con parole difficili da comprendere al primo colpo: «Siamo uscite dalla stanza con la neurologa, ci siamo guardate e ci siamo dette: “Tu hai capito quanto tempo ha? No? Nemmeno io. Torniamo dentro”», racconta Sara.
È cominciato così il loro percorso da caregiver, nel caos. Senza un manuale, senza istruzioni. Ma con la certezza che non si poteva restare immobili. «Ogni giorno papà perdeva un pezzettino di autonomia, e la mia reazione è stata: cosa devo fare? Come devo organizzarmi, compensare, strutturare tutto per rispondere ai suoi bisogni?», spiega Sara.
Alice, più emotiva, racconta di essersi sentita sopraffatta: «Io ero nel panico. Sara ha avuto la lucidità per capire cosa fare, e meno male. Senza di lei non ce l’avrei mai fatta». Ma anche se con modalità diverse, hanno affrontato la cura insieme: «Il modo in cui Alice si è presa cura di papà – a livello fisico ed emotivo – ha lo stesso valore del mio, più organizzativo», aggiunge Sara.

L’impatto sulla loro vita è stato profondo. Sara ha trovato un ambiente di lavoro che le ha permesso di gestirsi in autonomia. Alice, turnista, ha fatto più fatica.
Compagno fedele di tutti i caregiver, il senso di colpa non ha abbandonato Sara e Alice: colpa per aver promesso soluzioni che non si potevano mantenere, colpa per aver trascurato sé stesse o chi avevano intorno.
A un certo punto, Sara ha sentito che non ce la faceva più: «Mi ero concentrata tanto nel pianificare e rincorrere la malattia che mi stavo perdendo mio padre. Ho chiamato Alice e le ho detto: “Ho bisogno che tu ci sia. Non posso farcela da sola. Quando papà morirà, se non ci sarai, ti mancherà questo pezzo”». Alice è tornata. E hanno continuato, insieme.
Nel 2024 a loro si affianca l’assistenza domiciliare VIDAS, che alla fine dell’anno si tramuta in un ricovero in hospice. «È lì – in Casa VIDAS – che ho iniziato davvero a stare con mio padre. Prima rincorrevo, dopo ho potuto fermarmi. Gli operatori sono entrati in punta di piedi, ci hanno insegnato come affrontare ogni cosa, ci hanno ascoltate, e accompagnate nelle scelte».

Grazie al supporto di VIDAS, Sara ha potuto finalmente sentirsi sicura: «Per la prima volta, in tutto il percorso della malattia di papà, sono certa di aver fatto le scelte giuste. Perché non le ho fatte da sola». Alice ricorda i momenti di leggerezza: le passeggiate sul terrazzino dell’hospice, la serata a teatro a sentire Einaudi con papà, il ritratto di famiglia scattato nella biblioteca di Casa VIDAS da Guido Harari. «Quando la parte più pesante l’hanno presa in carico loro, noi abbiamo potuto tornare a respirare e a vivere un po’».
Oggi, ripensando a quel periodo, Sara lo dice chiaramente: «Ogni malattia è diversa, ogni situazione è unica. Ma una cosa vale per tutti i caregiver: bisogna chiedere, chiedere, chiedere finché non si ottengono le risposte».
Riconoscere il bisogno di aiuto non è una debolezza. È il primo passo per non perdersi nel mezzo della fatica. Ed è fondamentale per continuare a prendersi cura di se stessi, quando ci si prende così tanta cura degli altri.