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15.01.2024  |  Pazienti e famiglie

Due grandi famiglie

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Giuseppe, Livia, Marco, Matteo, Simone e Maria sono una famiglia molto unita. Quando Giuseppe riceve una diagnosi di SLA, tutti e sei incontrano VIDAS, “la nostra seconda famiglia.”

Giuseppe e Livia si incontrano in ospedale.

Lavorano entrambi come infermieri nel reparto di Endocrinologia dell’Auxologico San Luca di Milano e lì – in un posto che difficilmente potrebbe essere descritto come romantico – si innamorano.

Il loro progetto era avere una grande famiglia e “il Signore ci ha dato Marco, Matteo, Simone e Maria”, dice Livia. “Abbiamo la fortuna di essere una famiglia solida.”

“Se penso all’unione, all’amore, alla condivisione e alla volontà di sostenerci sempre l’un l’altro che ci lega, mi rendo conto che per molte persone la realtà è ampiamente diversa. La vivo proprio come una fortuna e non la do mai per scontata.”

Livia e Giuseppe si sentono fortunati. E la loro serenità permane chi gli sta intorno. Una dote già di per sé rara, che assume però una sfumatura di incredibile quando vengono a sapere della malattia di Giuseppe. Nella loro famiglia, riescono ad accogliere anche una diagnosi di SLA.

Convivere con la SLA

È il 2022 quando Giuseppe scopre, a poco più di 50 anni, di avere la malattia del motoneurone, una malattia degenerativa molto aggressiva, senza possibilità di guarigione né di cure miracolose.

Sembra uno scherzo del destino: da anni Giuseppe era passato ad occuparsi sul lavoro dei malati di SLA.

Sono un infermiere, non c’è nulla di sconosciuto riguardo al percorso che mi si sarebbe presentato davanti. Con la SLA la conclusione è già stabilita al momento della diagnosi, ma la fede mi ha sostenuto”. Giuseppe ci tiene a sottolineare questo aspetto della sua persona, che è anche al centro di numerose riflessioni su malattia, religione e spiritualità a cui dà voce attraverso la sua pagina Facebook, cercando di essere un esempio positivo e aiutare gli altri.

Per fare tutto questo, però, serve un sistema di supporto che si estenda oltre la rete famigliare, anche se si tratta di una rete fittamente tessuta come quella della famiglia Spadaro. Sul finire dell’estate 2023, quindi, Giuseppe viene preso in carico da VIDAS.

L’assistenza di VIDAS

“L’ho visto molto rassicurato,” dice Livia a nome di Giuseppe, al momento troppo stanco per parlare. “Il fatto di sentirsi seguito e accudito lo ha aiutato molto, soprattutto sapere di essere curato da persone che avrebbero eseguito le sue volontà, che non avrebbero forzato o preteso che lui si sottoponesse a cure a cui non voleva sottoporsi – tipo la tracheostomia, la PEG – procedure invasive che avrebbero avuto solo lo scopo di posticipare qualcosa di inevitabile”.

“Peppe” come lo chiama Livia (o “Papo” come lo chiamano i suoi quattro figli) è seguito al domicilio dalla dottoressa Maura Degl’Innocenti e Marcella Cargnel, infermiera. “Sono due tesori. Poi viene anche Lucia [Moneta], per la fisioterapia, che lo aiuta tantissimo,” continua Livia, e aggiunge: “Anche io mi sento accompagnata da VIDAS in questo percorso. Essendo infermiera, dal punto di vista pratico sono più preparata di tante altre persone davanti a una situazione come questa, che ti travolge, ma dal punto di vista emotivo avevo bisogno di supporto.” E ci racconta di come Giulia [Crespi] l’abbia aiutata.

“Ero una di quelle che diceva ‘non mi serve lo psicologo, so gestirmi’ e invece mi sta aiutando tantissimo, mi ha dato un binario da seguire e mi sta accompagnando in questo percorso in un modo che non può accadere in ospedale.” 

Un grande vantaggio dell’assistenza VIDAS, infatti, è la possibilità per i malati di essere curati a casa, “rimanere nel proprio ambito, con i propri oggetti, circondato dall’amore dei tuoi figli, dai loro abbracci, non ci sono paragoni. Toglie tanta tristezza e ti aiuta a fare un cammino diverso.”

Ad ogni problema, una soluzione

“L’altra cosa fondamentale è che qualsiasi cosa ci serva VIDAS ha la soluzione!” continua divertita Livia. “Se c’è un problema mi propongono varie opzioni per risolverlo, alcune Peppe è pronto ad accettarle, altre magari no, però vengono sempre proposte delle soluzioni e si trova l’escamotage giusto per quel momento lì e per il paziente, dagli ausili ai farmaci forniscono tutto quello che ci serve.”

“La sicurezza di avere a disposizione i farmaci in caso di crisi respiratoria o altro è molto rassicurante, è una sicurezza che prima di VIDAS non avevo,” dice Giuseppe.

“Fa una grande differenza. I farmaci in questo stadio della malattia sono essenziali. E comunque per ogni problema si trova il modo per gestirlo e non ti senti sola, non devi impazzire tu a cercare di capire come fare, perché c’è gente con tanta esperienza pronta ad aiutarti, disponibilissima, 24 ore su 24. Dico davvero, non ti senti mai solo, VIDAS è come una seconda famiglia” gli fa eco Livia.

Asset di primo piano nella risoluzione dei problemi è la fornitura gratuita a domicilio di ausili.

“Abbiamo cominciato da cose piccole, come il cuscino antidecubito, piuttosto che l’archetto per sostenere le coperte e poi col peggioramento della malattia c’è stata la comoda, adesso c’è il letto ospedaliero con un grosso materasso ortopedico, successivamente è arrivato il sollevatore. Il sollevatore in particolare lo avevo usato tanti anni fa, quindi, Lucia mi ha spiegato bene come utilizzarlo ed è servito moltissimo.”

L’impatto psicologico

Per quanto essenziale a migliorare o mantenere la qualità di vita, l’arrivo di ausili in casa propria può avere un forte impatto psicologico.

Quando ho visto arrivare il letto ospedaliero è stato un duro colpo, perché il pensiero che lo accompagna è ‘ecco mi serve quel letto perché la mia malattia sta avanzando’, però il secondo passaggio è ‘grazie a Dio che me l’hanno mandato’, perché adesso dormo bene, mi posso girare, posso guardare la televisione stando sollevato, mia moglie non si spezza la schiena perché mi deve sollevare, usa il sollevatore, ho la carrozzina, queste cose a un primo impatto magari ti mettono in difficoltà, successivamente invece ne valuti solo gli aspetti positivi,” dice Giuseppe.

Tra gli ausili più utili Peppe conta il computer con la lettura ottica (fornito da ATS), il letto ospedaliero e il sollevatore.

La cosa che abbiamo aspettato più tempo a chiedere è stato il letto ospedaliero, perché significava togliere il lettone, il simbolo del nostro matrimonio e dell’unione familiare,” racconta Livia.

È stata un po’ dura togliere quello che era il nostro nido. Se devo immaginare un luogo della casa che rappresenti la nostra famiglia è proprio il lettone, perché da sempre ci siamo messi tutti e sei lì a veder la tele, tutti lì a giocare, tutti lì a sgranocchiare…

Ecco quello è uno di quegli articoli che sono stati duri da digerire,” continua Livia. “E in più io non ero convinta, avevo molta paura, ho detto ‘adesso arriva quel letto, lui sarà scomodo ma ormai ho disfatto il letto matrimoniale e poi sarà un problemae invece come è arrivato è stato veramente una manna.”

Idem il sollevatore: “All’inizio non ero convinta perché lo spazio mi sembrava poco. Lucia mi diceva ‘no ma guarda che ci sta’, io ero convinta che non ci saremmo mossi più e invece tempo un’ora che avevamo il sollevatore in casa avevo già cambiato idea.”

Il giorno dopo l’arrivo del sollevatore Giuseppe ha un peggioramento: non riesce più a sollevarsi. Livia per spostarlo dovrebbe tirarlo su di peso, ma senza successo perché ormai anche le gambe hanno smesso di funzionare.

Con l’ausilio del sollevatore, invece, per Livia è stato possibile metterlo in carrozzina senza difficoltà, “e portarlo al tavolo dove mangiamo tutti insieme”. È tutto finalizzato a mantenere uno stile di vita ancora “normale” e mantenere l’unione familiare, condividere anche altri spazi della casa, altri momenti più divertenti, lontani dal letto.

Questi momenti di condivisione ci consentono di vivere con serenità la malattia. Ed una cosa importantissima: se siamo sereni noi, sono sereni anche i nostri figli.

“Sappiamo quello che succederà, sappiamo che questa serenità non ci risparmierà dalla tristezza, che ci saranno momenti bui. Ma non abbiamo paura.”

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