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13.11.2023  |  Aggiornamenti

Che cosa sappiamo davvero delle cure palliative?

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Giada Lonati, direttrice sociosanitaria di VIDAS, illustra i risultati di una nuova ricerca sulle cure palliative condotta sul territorio nazionale

Dal marzo 2010 la legge 38 garantisce l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore: 13 anni dopo possiamo affermare con soddisfazione che 8 cittadini su 10 sanno che sono un diritto che deve essere tutelato gratuitamente dal Sistema Sanitario Nazionale.

Il dato emerge da una ricerca sul grado di conoscenza delle Cure Palliative nella popolazione e tra i medici, commissionata a IPSOS da VIDAS, in collaborazione con Federazione Cure Palliative, grazie al sostegno della Fondazione Giulio e Giovanna Sacchetti

E, se lo studio pubblicato da Benini nel 2011 su dati del 2008 mostrava che solo il 7% della popolazione aveva un’idea chiara di che cosa fossero le cure palliative mentre il 41% non ne aveva mai sentito parlare, oggi possiamo dire che il 54% sa bene o abbastanza bene che cosa sono e solo il 6% non le ha mai sentite nominare.

Un passo avanti importante per chi, in particolare tra gli enti del terzo settore, ha creduto nell’importanza della formazione e dell’informazione, senza mai perdere di vista l’erogazione di servizi di qualità. Certo c’è ancora parecchio da fare se circa 1 cittadino su 5 ritiene “cure palliative” sinonimo di “cure inutili” o “naturali” o alternative alla medicina tradizionale.

È però sempre più diffusa la convinzione che si occupino di migliorare la qualità di vita di persone gravemente malate e delle loro famiglie, indipendentemente dalla patologia e fin nelle fasi precoci di una malattia inguaribile. Ne abbiamo fatta di strada da quando cure palliative voleva dire cancro in fase terminale.

Preoccupa invece che il 57% degli intervistati non abbia idea se siano attive sul proprio territorio e l’importante divario tra il Nord e Sud del Paese. Insomma, bene ma non benissimo.

Entra qui in gioco il ruolo di chi informa: i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta e gli specialisti ospedalieri in primis, a cui si rivolgono pazienti e familiari in caso di necessità. Sebbene la maggioranza dei colleghi riconosca l’importanza di un intervento palliativo precoce, per il 20% l’avvicinarsi della morte è ancora il criterio guida nella scelta.

La casa è per tutti il luogo elettivo di cura, ma gli ospedalieri conservano una maggiore propensione per l’assistenza in hospice, consapevoli che il desiderio di scegliere dove essere curati è soddisfatto in meno del 70% dei casi. E chissà che non sia una visione ottimistica.

La pianificazione condivisa delle cure è un bene per la metà dei medici, ma è parlare di malattia grave, prognosi infausta e morte il vero ostacolo.

Sappiamo che cosa dovremmo dire ma ci mancano le parole. Forse dobbiamo ripartire da qui: dalla costruzione di un linguaggio comune che consenta a curanti e curati di incontrarsi sul terreno delicato dell’estrema fragilità.

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