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05.04.2023  |  Cultura

Gli aspetti fisici, psicologici e sociali legati alla relazione tra il cibo e la malattia terminale

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La relazione tra il cibo e la malattia terminale è complessa e multifattoriale, in quanto coinvolge diversi aspetti fisici, psicologici e sociali. In questo articolo ne andremmo ad analizzare in particolare gli aspetti psicologici e sociali, a partire dalla relazione cibo-paziente-caregiver. Ciò che spesso accade a una persona malata inguaribile, soprattutto nell’ultimo tratto di vita, è che essendo così provato nel corpo, semplicemente non avverte più il bisogno di mangiare. E il tema del bisogno del paziente, di quello sguardo soggettivo così caro alle cure palliative, è uno strumento prezioso per condurre i familiari ad acquisire uno sguardo diverso dal proprio, sì amorevole ma non sovrapponibile a quello del paziente. In questa fase, dunque, è necessario proseguire nel lavoro di mediazione, poiché accanto al bisogno del paziente, c’è quello altrettanto importante del familiare. Mai come in questa fase diventa evidente come il cibo non può essere considerato supporto vitale, ma non è nemmeno solo terapia, in quanto si inscrive all’interno delle relazioni.

Cibo e malattia terminale

La relazione tra il cibo e la salute fisica

Iniziamo dall’inizio e accenniamo brevemente alla relazione tra il cibo e la salute fisica, per poi passare al cuore dell’articolo. Dunque, da un punto di vista fisico l’alimentazione può avere un impatto significativo sulla salute delle persone affette da malattie terminali. In molti casi, le malattie inguaribili possono causare problemi digestivi e di assorbimento dei nutrienti, che possono portare a malnutrizione, perdita di peso e indebolimento del sistema immunitario. Inoltre, alcune di queste malattie possono richiedere una dieta specifica per gestire i sintomi e migliorare la qualità della vita dei pazienti.

L’importanza del cibo da un punto di vista psicologico

Ma arriviamo ora al dunque. Gli esseri umani non mangiano solamente per vivere. Noi ci nutriamo anche della relazione che il cibo crea, con il nostro corpo, con le persone che amiamo, con il tempo. I pasti scandiscono il tempo delle nostre giornate e nutrirsi è un piacere oltre che una necessità. Da un punto di vista psicologico, dunque, l’alimentazione può assumere un significato molto importante per le persone che affrontano una malattia terminale. Molti trovano conforto nel cibo, che può rappresentare una fonte di piacere e di soddisfazione, ma anche di ricordi e di legami emotivi con la propria cultura e la propria famiglia.

La perdita dell’appetito e la difficoltà a mangiare possono quindi rappresentare un ulteriore stress per i pazienti, che possono sentirsi privati di un’importante fonte di gratificazione. Inoltre, il rapporto con il cibo può essere influenzato dalle emozioni e dallo stato d’animo dei pazienti. L’ansia, la depressione e lo stress possono alterare l’appetito e il desiderio di mangiare, mentre la tristezza e la solitudine possono portare a comportamenti alimentari disfunzionali, come l’eccesso di cibo o il digiuno.

… e relazionale

La relazione tra il cibo e la malattia inguaribile può avere un impatto anche sulla relazione del paziente con i propri familiari e caregiver. Il cibo può rappresentare un modo per esprimere l’amore e la cura per i propri cari, ma anche un’occasione per trascorrere momenti di condivisione e di socializzazione. La gestione dell’alimentazione del paziente può quindi rappresentare una responsabilità emotiva per i familiari e i caregiver, che devono bilanciare le esigenze nutrizionali del paziente con le sue preferenze e i suoi desideri.

La cucina di casa: il luogo della cura in famiglia durante la malattia terminale

Per tutti questi motivi, è evidente quanto sia importante poter trascorrere a casa e in famiglia la parte finale di questo viaggio chiamato vita. La casa è il posto ideale per la cura e sarebbe bello che l’ultima cena potesse essere consumata nello spazio che ha fatto da cornice a tanti altri pasti. Il sapore dei piatti di una famiglia è già famiglia. Ci sono profumi che da soli evocano ricordi, sensazioni, nostalgie. La cucina è il luogo delle confidenze.

Anche per i medici domiciliari la cucina di una casa è un luogo importante, in cui avvengono scambi di informazioni, in cui trovano spazio le domande: intorno a un tavolo forse si superano alcune barriere e si creano una vicinanza e un’intimità che tante parole non avrebbero saputo creare.

Alcuni consigli per la gestione dell’alimentazione nel fine vita

Parlare di alimentazione nel fine vita vuol dire approcciarsi ad una tematica molto delicata e complessa, che – come abbiamo visto – coinvolge una serie di fattori legati all’affettività, ai ricordi, alle emozioni, al passaggio dalla vita alla morte, ma anche al senso della propria dignità. Oggi, per aiutare a contrastare la perdita dell’appetito, la medicina ha a disposizione degli strumenti farmacologici (non molti a dire la verità!) che, una volta valutata la singola circostanza, possono essere prescritti.

Parallelamente alle terapie, però, ci sono anche alcuni consigli che si danno al paziente e ai familiari in merito alla gestione dell’alimentazione nel fine vita. Tra questi: privilegiare pasti piccoli e frequenti, scegliere alimenti con un elevato potere calorico, preparare i piatti preferiti del paziente, soddisfare le sue voglie anche in termini di temperatura e di consistenza. O ancora, si consiglia di non assediare il paziente con richieste assillanti, di adattare gli orari a quelli desiderati dal paziente senza irrigidirsi su quelli convenzionali, non presentare piatti stracolmi di cibo che spaventano il paziente e aumentano la frustrazione di tutti.

Il fine vita in Casa VIDAS

Molti pazienti, invece, non hanno la possibilità di trascorrere l’ultima parte della loro vita a domicilio e, dunque, vengono ricoverati in hospice. In Casa VIDAS, seppur con i limiti che una struttura impone, proviamo a declinare le stesse attenzioni che si riserbano ai pazienti nelle proprie case. A partire dalla personalizzazione degli orari dei pasti: nessun paziente viene svegliato per mangiare. Quando i nostri pazienti dormono, vuol dire che non hanno dolore e aspetteremo il loro risveglio per proporre loro di mangiare. Scegliamo i cibi di consistenza proporzionata alla loro capacità di deglutire e di masticare, adeguiamo la temperatura a quello che i pazienti desiderano (c’è chi chiede la tisana bollente per dormire e chi vuole del ghiaccio tritato per l’arsura). Utilizziamo stoviglie di porcellana colorata per rendere il momento del pasto più allegro. Dedichiamo tempo a imboccare il paziente: un cucchiaio portato amorevolmente alle labbra di un malato, non ha molto da spartire con una sonda nasogastrica.

Concludiamo con le parole di Carlo Maria Martini, il cardinale che ha rifiutato la nutrizione artificiale alla fine della sua vita:

Le nuove tecnologie che permettono interventi sempre più efficaci sul corpo umano, richiedono un supplemento di saggezza per non prolungare i trattamenti quando ormai non giovano più alla persona”.

Pensiero che ben si armonizza con quello espresso da Michael Ende, il famoso scrittore tedesco:

Siamo andati avanti così rapidamente in questi anni che ora dobbiamo sostare per acconsentire alle nostre anime di raggiungerci”.

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