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21.10.2022  |  Cultura

Dialogo tra Gherardo Colombo e gli studenti del progetto scuole di VIDAS

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Dialogo con Gherardo Colombo su giustizia, legge, libertà, in una sessione del festival dedicata al Progetto Scuole di VIDAS, che ha coinvolto più di 700 studenti in Italia.

Matilde, Damiano, Benedetta, Tania e Daniele.
Cinque ragazzi in rappresentanza delle centinaia di studenti che hanno lavorato sul tema della legge 219 e del biotestamento, lanciato da VIDAS lo scorso anno scolastico. Sono studenti di seconda dell’Istituto Pesenti di Cascina che hanno partecipato al concorso collegato al progetto – e lo hanno vinto, per la qualità del lavoro presentato, condotto grazie a una splendida insegnante, Monica Bassanese, che ha coinvolto e motivato. Li abbiamo premiati al festival, alla presenza del magistrato Gherardo Colombo, impegnato da anni nelle scuole a sensibilizzare sui temi di giustizia e legalità.

Ecco un breve stralcio della chiacchierata avuta dopo la premiazione [la versione integrale sul canale YouTube di VIDAS].

Matilde

Matilde. Come possiamo sentirci tutelati dallo Stato e dalle leggi quando referendum come quello per la cannabis legale o proposte di legge come il Ddl Zan vengono respinti così frettolosamente?
Gherardo Colombo. I referendum sul fine vita e sulla cannabis sono stati dichiarati inammissibili dalla Corte Costituzionale, che può aver sbagliato -e anch’io lo penso abbastanza- ma ha il potere di decidere, valutando ciò che la modifica della legge produce, specie sulle persone fragili. E allora bisogna informarsi, voler conoscere, impegnarsi. Perché questo Paese sia davvero una repubblica democratica, come afferma la Costituzione all’articolo 1, i cittadini hanno il potere di proporre disegni di legge, raccogliere firme, manifestare, scendere in piazza. La democrazia chiede fatica, non credete?

Damiano

Damiano. Abbiamo trovato interessante, sul suo sito, sulleregole.it, l’articolo sulla dichiarazione delle responsabilità dell’uomo, dove lei distingue due tipi di libertà, l’una basata sull’indifferenza, l’altra sul coinvolgimento. Vuole spiegarci cosa intende?
GC. La libertà basata sull’indifferenza non è libertà, in effetti, ma soltanto separazione dagli altri. Per essere molto sintetico: l’articolo 2 della Costituzione afferma che l’Italia riconosce e garantisce i diritti inviolabili e chiede di adempiere i doveri di solidarietà. Questa correlazione implica che, se manca la solidarietà, ossia nell’indifferenza, vengono a cadere anche i diritti. Facciamo un esempio: in una scuola pubblica, gli stipendi degli insegnanti vengono pagati con le tasse. Senza tassazione, non ci sarebbero scuola pubblica né diritto all’istruzione. La libertà dell’indifferenza rende la libertà un privilegio elitario o, peggio, sopraffazione, perché chi è libero dispone di chi non è libero. Invece, come diceva Gaber, la libertà è partecipazione.

Tania

Tania. Secondo lei, in materia di testamento biologico, perché è ancora così difficile in Italia parlare del diritto di scegliere preventivamente i propri trattamenti sanitari?
GC. Secondo me alla fine, ma proprio alla fine, è una questione di potere. Perché devo imporre a qualcuno di vivere se sta talmente male da preferire di non esserci più? Perché? Si tratta di potere proprio nel senso che quel che penso io vale di più di quel che pensi tu, io sono giusto e tu sei sbagliato. Facciamo molta fatica a motivare le nostre opinioni con argomenti razionali. È necessario crescere, e a crescere si fa fatica, ci vuole impegno per gestire la propria libertà.

Benedetta

Benedetta. In Italia il testamento biologico è entrato in vigore (soltanto) il 31 gennaio 2018 ma non c’è piena accettazione di questo diritto né una discussione seria sui temi come eutanasia, suicidio assistito o anche fecondazione assistita. Perché l’inizio e la fine della vita sono temi così ostici sul piano normativo?
GC. Si tratta di questioni ideologiche. Facciamo un paragone. La Costituzione è entrata in vigore l’1 gennaio 1948 e, parallelamente, è diventato legge il Codice civile che, all’articolo 144, al titolo sull’autorità maritale, stabiliva che il marito era il capo della famiglia e la moglie era obbligata a seguirlo ovunque intendesse fissare la loro residenza. Ci sono voluti 27 anni perché venisse cambiata questa disposizione. È stato un duro scontro, di idee, cultura e costume.

Daniele

Daniele. Lei crede anche molto nei giovani, in noi. Quali sono, secondo lei, i punti di forza e le debolezze della nostra generazione?
GC. Incontro circa 50.000 ragazzi l’anno, e ho quindi un buon punto d’osservazione – vi vedo molto disponibili a entrare nelle cose e, insieme, con pochissima fiducia in voi stessi. Forse, a furia di sentirvi dire che voi siete il futuro, pensate di non essere anche presente. Il futuro, in fondo, non arriva mai e, allora, è necessario darsi da fare subito, fiduciosi che le cose si possono già cambiare.

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