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24.09.2012  |  Cultura

Il tatto come valore primario nel rapporto madre-figlio

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Il tatto ha un’importanza fondamentale nel rapporto tra madre e figlio, perché è quel gesto che delimita la separazione tra l’idea di bambino che ogni madre custodisce nella propria fantasia e la sua presenza in carne ed ossa dopo la nascita. Silvia Vegetti Finzi, psicoterapeuta e pedagogista di fama mondiale, lo chiama “il bambino della notte” che diverrà “il bambino del giorno”. Attraverso le sue parole, cerchiamo di capire che significato ha il tatto nel rapporto tra madre e bambino e qual è il suo ruolo rispetto agli altri quattro sensi.

Il tatto come forma di comunicazione non verbale

L’adulto e il neonato si toccano si manipolano in continuazione, si conoscono e ri-conoscono nei ripetuti contatti che contrassegnano il primo anno d’esistenza. Si tratta di atti essenziali per la sopravvivenza della creatura che si è appena affacciata al mondo e che altrimenti perirebbe per esaurimento delle funzioni organiche. La dott.ssa Vegetti Finzi ci ha spiegato meglio perché il tatto è così importante nei primi mesi di vita del bambino.

Quando nasce un bambino nasce una madre, ma perché questo avvenga è necessario che si ristabilisca, all’esterno, l’unità biologica precedente, che la frattura del parto sia ricomposta in un abbraccio dove la carezza, sostituendo il leccamento degli animali, inaugura la vita insieme.

Il primo “faccia a faccia” della madre e del figlio conclude un’attesa durata nove mesi e, psicologicamente, anche più se pensiamo che ogni donna possiede una immagine inconscia di suo figlio, una precognizione del suo prodotto generativo.

[…] Un compito così importante, come la procreazione, non può essere privo di figure che lo orientino e infatti vaga nella fantasia inconscia di ognuna un fantasma che ho chiamato “il bambino della notte” per contrapporlo al “bambino del giorno”, il figlio vero, reale, in carne e ossa, quello che sarà condiviso col padre e accolto nella società.

Nel momento dell’incontro, del reciproco riconoscimento, il “bambino della notte” svanisce per lasciar posto al suo successore diurno. La dichiarazione che ogni madre in quei frangenti silenziosamente enuncia, “Questo è mio figlio”, eleva un cucciolo della razza umana, uno qualsiasi, al rango di soggetto: unico, non duplicabile, insostituibile, uguale, come un’opera d’arte, soltanto a sé stesso.

Quando un nuovo nato viene accolto nella società civile e nella comunità religiosa è già una persona, perché la madre lo ha riconosciuto come tale attribuendogli la cittadinanza fondamentale, quella che lo inscrive nell’umanità. Ma, poiché non vi è alcuna possibilità di scambio verbale, la comunicazione tra loro segue altre vie: il tatto, l’odorato, la vista.

Durante l’allattamento madre e figlio si fissano con straordinaria intensità e, nello stesso tempo, compiono un processo di reciproca esplorazione tattile. Le mani del bambino toccano la madre con movimenti sempre più orientati e sicuri mentre quelle della madre gli accarezzano la testa, gli premono la bocca contro il capezzolo, seguono con un dito il morbido profilo delle guance. In tal modo il bambino impara a conoscere nello stesso tempo la sua pelle e quella dell’altro, l’adesione e la separazione. La relazione madre-figlio costituisce in tal senso il prototipo di tutti gli ulteriori legami affettivi.

Il dialogo tattile come esigenza primaria del bambino

Il tatto non assurge solo il ruolo di crocevia tra il “bambino della notte” e il “bambino del giorno”, ma risulta essere anche un valore primario per l’esistenza stessa del piccolo, continua la dottoressa:

Tutti i bambini, durante il primo anno di vita, vengono ripetutamente manipolati dagli adulti: cambiati e lavati più volte al giorno. Tuttavia, i gesti efficienti della cura non bastano a stabilire una relazione soddisfacente. Sappiamo infatti, dagli studi di René Spitz, che i bambini anche se vengono allevati in condizioni igienicamente ineccepibili, se non sono accarezzati e accuditi con affetto, rischiano di perire di marasma, una forma di progressivo esaurimento, per inedia, delle funzioni organiche. In altri termini, non potendo vivere soli, senza la conferma di un significativo dialogo tattile, si lasciano morire.

[…] Per sopravvivere e crescere il bambino ha bisogno di essere toccato con le mani, sollevato, accarezzato, abbracciato, vezzeggiato, come se potessimo conoscere il nostro corpo solo attraverso quello di un altro.

Nei momenti di eccitazione, quando il piccolo non riesce a controllare l’agitazione psicomotoria, per calmarlo è risolutivo il gesto di abbracciarlo e di accarezzarlo. In tal modo sente che la sua ansia è recepita e controllata da un contenitore valido e capace.

Non avete mai notato che, in situazioni disperate, le persone si abbracciano da sole? E, in molte culture, per confortarsi, i fedeli sgranano tra le dita il rosario o toccano un oggetto ritenuto sacro? Un gesto con cui i sovrani medioevali asserivano il loro potere sui corpi dei sudditi era costituito appunto dal tocco taumaturgico della loro mano.

L’importanza del contatto, non solo tra madre e figlio

Le riflessioni della dott.ssa Silvia Vegetti Finzi ci permettono ancora una volta di comprendere l’importanza del contatto fisico nel rapporto tra madre e figlio, che assume un ruolo ancor più ancestrale della comunicazione verbale, perché è il primo vero atto di riconoscimento dell’esistenza stessa di un essere umano. Questa stessa vicinanza manifesta la sua importanza, come ben sappiamo, anche in un altro momento fondamentale della vita: la sua conclusione. Perché la vita inizia con una carezza e con una carezza si conclude: questo è l’unico gesto capace di raggiungere chi sta per lasciarci, a dimostrazione che l’uomo è capace di sentire e comunicare anche e soprattutto con il proprio corpo.

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