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06.06.2013  |  Operatori

Il tempo sfuggito e i desideri

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Il tempo scorre veloce per i pazienti e noi, confidenti e sostenitori dei loro ultimi desideri, cerchiamo di sostenerne la realizzazione. Gli ostacoli della realtà, spesso, impediscono di raggiungerli e ne restiamo delusi, ma quando qualcuno ci riesce è una gioia per il paziente e per l’operatore. Un piccolo risultato che ha un valore infinito e ci aiuta a perseverare e a riprovarci ancora in futuro. Ecco la storia di Anny.

La Signora Paola non mangia da un mese, è cachettica, silenziosa, cammina da sola per andare in bagno. Nel suo viso si vedono rabbia e infelicità, non parla molto con gli operatori, chiama per i suoi bisogni. Dopo una settimana riprende a mangiare anche se poco. Una mattina, dopo un bel mesetto, decide di uscire fuori dalla sua stanza, non vuole più la sua stanza, è stanca delle solite mura, del solito bagno, delle solite cose in TV. Posizionata in bascula viene portata in salone.

La Signora Paola vuole andare a casa: lo riferisce a un operatore, sa che non c’è molto tempo… o adesso o mai più. Nel briefing si parla del desiderio della paziente: si deve parlare con i fratelli, con l’assistente sociale, con il medico e cosi via. Passa il tempo. Lei aspetta silenziosa, ma il tempo passa e lei peggiora ogni giorno di più, la stanchezza nel suo corpo, il colore della sua pelle, lo sguardo sofferente rassegnato. Non cammina più come prima, chiama per essere accompagnata in bagno, è più cachettica, è più astenica. Lei sa che il tempo sta per finire però non parla: aspetta, aspetta nella sua stanza. Una mattina chiama: “Sì, dica”. “Aiutami a sistemarmi nel letto, non trovo la posizione giusta”. “Venga, andiamo fuori, è quasi ora di pranzo: la metto seduta sulla bascula”. “Sì, è meglio” dice lei.

Stufa dei soliti giorni eterni che non passano mai, il letto che diventa scomodo perché ogni posizione non va più bene. Le chiedo come vanno le cose per il rientro a casa, risponde che il tempo è sfuggito, che i suoi fratelli hanno paura. Lei non sa che i fratelli non sono d’accordo perché nelle sue condizioni non se la sentono di portarla a casa. Vicino all’infermeria due fratelli parlano, si lamentano: “Come è possibile portarla a casa in quelle condizioni?”. L’infermiere di turno risponde: “È la sua ultima volontà”. Sapete vi racconto che anch’io ho vissuto qualcosa di simile: stare in un posto dove non volevo più stare, volevo che il tempo trascorresse veloce, era brutto perché il tempo non passava mai, a volte mi veniva l’angoscia, volevo urlare, allora dormivo e dormivo, così secondo me il tempo passava più in fretta (nda).

Alleluja!!! La Signora Paola va a casa: stanno facendo tutti i preparativi. È pomeriggio: entro nella sua stanza, la saluto. “Buon pomeriggio! Come va? Ho saputo che va a casa: è contenta?”. Lei mi sorride (non sorrideva quasi mai), nei suoi occhi vedo luce, felicità: sì, era contenta. Mi dice: “Sì, vado a casa. Sono passati quindici giorno da quando ho detto che volevo tornare a casa”. Anch’io sono contenta per lei… esco dalla stanza e veramente sono molto felice per lei. Ci sono stati tanti altri che non c’è la hanno fatta per tanti motivi: situazione economica, i parenti che non vogliono, moglie o il marito anziano, il figlio disabile, per comodità o per paura o perché è meglio che il malato rimanga in struttura, e chi più ne ha più ne metta.

Ma questa voglia di andare a casa, di vederla, di toccarla, di risentire i profumi delle cose, i ricordi, il tuo mondo, mondo che improvvisamente hai chiuso dietro una porta pensando che un giorno saresti tornata e riaprendo la tua porta di casa avresti potuto risentire i tuoi profumi e abbracciare tutte le tue cose.

Tornare a casa anche per un giorno o per morire sembra che non esista più.

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