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08.12.2023  |  Operatori

Pianificazione condivisa delle cure in ambito pediatrico. Il vissuto dei genitori

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Carlotta Ghironi, psicologa VIDAS, ci racconta di uno studio condotto in Casa Sollievo Bimbi sul vissuto dei genitori che hanno scelto la pianificazione condivisa delle cure

cure palliative pediatriche

“Sono molto contenta, credo che sia importante l’attenzione che abbiamo posto sulla pianificazione condivisa delle cure. Spero che questo studio possa ispirare altre realtà in Italia a fare lo stesso.”

Al XXX congresso SICP il progetto di ricerca presentato da Carlotta Ghironi, psicologa di Casa Sollievo Bimbi, sulla pianificazione condivisa delle cure in ambito pediatrico ha vinto il terzo posto del Premio Ventafridda.

“Mi è piaciuto che ci fosse il riconoscimento, ovviamente. Ma sento di aver portato la voce dei genitori e il fatto che sia stata riconosciuta l’importanza di quella voce mi sembra ancor più significativo.”

Certamente riportare il vissuto di genitori di bambini con malattie inguaribili su un tema delicato e complesso come quello della pianificazione condivisa delle cure non è stato facile, ma sarà sicuramente utile per tanti altri genitori fuori da VIDAS.

Nascita e sviluppo dello studio

“La ricerca nasce come progetto di tesi condiviso con i colleghi con cui collaboro in VIDAS, in particolare Federico Pellegatta, Giovanna Visconti e Maria Beltrame, per il corso di perfezionamento in Bioetica dell’Università di Padova. La tesi è stata il punto di partenza per un progetto formativo per l’équipe pediatrica di VIDAS in merito alla Pianificazione Condivisa delle Cure con la collaborazione della dottoressa Ludovica De Panfilis, che è ancora in corso,” spiega Carlotta.

Pianificazione condivisa delle cure significa fare un percorso, organizzato in una serie di colloqui fra gli operatori – che sono medico, infermiera e psicologa –  e i genitori in questo caso, perché i pazienti non erano nelle possibilità di partecipare, e riflettere insieme su quelli che sono i valori della famiglia, la percezione della loro qualità di vita, le condizioni cliniche del paziente, le prospettive future e le possibilità di cura, in modo tale da pianificare e definire insieme quale percorso intraprendere.”

 “Se dovesse succedere qualcosa improvvisamente, come un’infezione o un arresto, che cosa facciamo?”
È una delle domande su cui i genitori riflettono più spesso durante questi colloqui, dove vengono toccati – necessariamente – temi molto difficili.
“Se la malattia dovesse velocemente progredire, che cosa facciamo?”
“Quanto è proporzionale intervenire in certe condizioni? Quanto invece diventa accanimento terapeutico?”
“…Che cosa possiamo fare, insieme?”

Dobbiamo per forza ragionare con i genitori anche su prospettive che nessuno si augura, ma che potrebbero verificarsi. Prospettive urgenti, ma non solo: è importante considerare tutto il decorso della malattia e quindi avere uno sguardo anche sul fine vita, sulla morte e sul dopo.”
Sono tutte conversazioni necessarie quando devono essere prese delle decisioni in anticipo.

Sono colloqui molto intensi per i genitori,” continua Carlotta. “Lo scopo del mio studio è stato quello di indagare con loro, attraverso delle interviste semi-strutturate, come hanno vissuto questi colloqui, quali sono stati gli argomenti per loro più importanti, cosa gli è stato utile sapere, quale modalità hanno trovato più accogliente, più empatica. Che cosa hanno apprezzato, cosa invece avrebbero voluto che venisse fatto diversamente. E, soprattutto, che impatto ha avuto su di loro poter parlare di queste cose, se hanno colto l’utilità di questi colloqui, o se è stata solo una fatica.”

La risposta dei genitori

Il campione è stato selezionato coinvolgendo genitori di pazienti in carico all’équipe pediatrica di VIDAS, con i quali era già stata fatta una pianificazione ma i cui figli erano ancora in vita. Allo stesso tempo, sono stati intervistati anche genitori di piccoli pazienti già deceduti.

“Abbiamo provato ad avere uno sguardo sia sull’impatto che questi colloqui hanno quando il paziente è ancora in vita, sia dopo la sua morte. Per sapere se è stato utile ai genitori parlare anticipatamente di determinati aspetti,” spiega Carlotta. “Quello che abbiamo osservato, che è stato raccolto, è che per i genitori è importante avere delle informazioni cliniche e andare più nel dettaglio possibile, per esempio spiegando che cos’è una tracheostomia, cosa significa rianimare, che cos’è un’intubazione, etc. in modo molto tecnico.”

Emerge quindi che per i genitori è importante avere informazioni cliniche e allo stesso tempo è importante toccare tutti quegli aspetti che clinici non sono: la riflessione sull’essere genitore in queste condizioni, cosa significa qualità di vita, quale ritengono il percorso migliore per il loro figlio/a… “Tutti aspetti trasversali a quello clinico, ma che riguardano proprio la vita parallela alla malattia,” chiarisce Carlotta. “Sono da tenere in considerazione perché per alcune famiglie è importante raggiungere certi obiettivi o fare certe cose, e questo può cambiare in base alle condizioni cliniche.”

Carlotta prosegue nella sua spiegazione portando l’esempio di una famiglia: “La bambina aveva una malattia genetica e poteva nascere e morire nel giro di pochissimo tempo. I genitori avevano chiesto che venisse battezzata esattamente nel momento della nascita, perché loro ci tenevano moltissimo. Quindi l’aspetto del battesimo – che ovviamente è stato influenzato della condizione clinica della bimba, che avrebbe potuto vivere anche solo pochi minuti – è stato preso in considerazione anche dall’equipe, che ha tenuto conto del desiderio della famiglia e si è organizzata per poterlo esaudire in ospedale.”

Un altro aspetto apprezzato dai genitori risulta la modalità di colloquio, definita “accogliente”, “calma”, “rassicurante”, che riuniva momenti formali – quelli del colloquio classico in cui ci si siede tutti insieme –  a momenti più informali insieme ad altri operatori, in cui magari poter riparlare di alcuni punti emersi a colloquio. “È come se la pianificazione fosse un processo che avevano già in mente, ma che avevano bisogno di riaffrontare in vari momenti durante il ricovero [tutti i colloqui si sono svolti durante i ricoveri in Casa Sollievo Bimbi]” continua Carlotta.

Conclusioni

“Abbiamo riflettuto insieme i genitori sull’importanza di mettere per iscritto il risultato delle pianificazioni. Per alcuni genitori era importante, altri invece preferivano che ci fosse solo una comunicazione orale. Abbiamo riflettuto insieme sul futuro, su come lo avrebbero visto dopo la morte del figlio, sugli eventuali supporti al lutto a disposizione. Qualcuno ha parlato anche di come avrebbe voluto pianificare il funerale, sono emersi anche aspetti di questo tipo.”

Una ricerca davvero importante, fatta su ispirazione di altre sviluppate a livello internazionale, che si spera possa essere davvero fare la differenza per i genitori e gli operatori che si interfacciano con loro per la pianificazione condivisa delle cure.

“In generale quello che abbiamo osservato è che nonostante la fatica emotiva che implica qualsiasi discorso sulla perdita di un figlio –  nei giorni successivi tutti i genitori erano visibilmente scossi – tutti hanno ritenuto molto utile poterne parlare in anticipo,” conclude Carlotta.

Un obiettivo rivolto al futuro

“Questo studio nasce dall’esigenza di approfondire alcuni aspetti delle pianificazioni condivise delle cure che già facevamo in Casa Sollievo Bimbi per migliorarle e per avere delle linee guida a livello formativo per gli operatori,” dice Carlotta. “E da questo studio, insieme ad altri, è nata una formazione che è in corso insieme alla bioeticista Ludovica de Panfilis. Stiamo facendo una formazione con tutta l’equipe di Casa Sollievo Bimbi e del domicilio; quindi, tutta l’equipe pediatrica verrà formata sulla pianificazione condivisa delle cure.”

La ricerca e la formazione sono obiettivi costanti in VIDAS e grazie a questo studio non solo tutta l’équipe pediatrica attuale sarà formata al meglio su questo argomento estremamente complesso, ma anche eventuali membri futuri dell’equipe. “Ci siamo costruiti un’esperienza sul campo e vorremmo che le nuove persone inserite nell’equipe possano allinearsi con la nostra modalità,” senza dover partire da zero.

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