Sapeva ascoltare, e sapeva leggere. Non i libri, quelli son buoni tutti, sapeva leggere la gente, i segni che la gente si porta addosso: posti, rumori, odori, la loro terra, la loro storia.
Alessandro Baricco, Novecento
Volendo stare su un livello soltanto tecnico, Simona aveva una neoplasia del pancreas in stadio avanzato. Operata nel dicembre del 2020, si era sottoposta a chemio e radioterapia per circa tre anni, finché è stata dichiarata non più guaribile. E lei ha accettato.
Il livello tecnico, si sa, è puntuale, di una precisione affilata – ma non racconta quello che ho visto, nella piccola casa, dove ha abitato dopo l’ultimo ricovero. E soprattutto, il livello tecnico non spiega come, ad un certo punto, mi sia magicamente ritrovata dentro alla cucina caliginosa, virata al seppia, de I mangiatori di patate: dentro al dipinto, potente e mesto, di Van Gogh, che celebra così bene l’unione che c’è, nelle famiglie, quando si vive la fatica – la miseria di una condizione. Nella mia personalissima versione del quadro, la contingenza che generava la miseria era: sta morendo la mamma. Una condizione che fa stringere tutti – ed erano tutti veramente stretti: miseri e stretti ma non disperati.
Simona è stata un operatrice sociosanitaria in oncologia e, immagino, dev’essere stata il tipo di collega che porta avanti il reparto, organizza e intesse relazioni: ‘tiene il gruppo’ e diventa un riferimento. Al punto che la casa, nel tempo in cui l’abbiamo frequentata, è stata sempre in un costante movimento di persone in visita, che spettegolavano e chiedevano consigli: ‘si confessano’, diceva lei. Simona era il tipo di persona a cui è facile voler bene. Doveva anche aver ben chiaro cosa le stesse succedendo, ma è riuscita a metterlo da parte e ha fatto la paziente. Pazientemente. È stata proprio brava.
Aveva un figlio, piuttosto sereno, una figlia, più fragile e impressionabile, un fratello e una sorella, che ho visto prendere velocità (in parallelo alla consapevolezza), tutti e quattro, affaccendarsi e correre quando, a due giorni dalla sua morte, Simona li ha istruiti su come dovesse essere l’ultima festa in suo onore. In affanno per non perdersi niente di quello che desiderava: la foto da mettere sul profilo whatsapp e le piantine da regalare a chi fosse passato da casa, dove avrebbero allestito la camera ardente. Sembravano quasi allegri.
Una mamma che muore, e muore a 55 anni, va onorata e questo stava succedendo di fronte a me, all’interno di quel quadro. L’ho talmente sentita la loro emozione che mi sono tagliata mentre aprivo una fiala, come non mi capitava dagli albori della vita da infermiera. E anche il mio sangue che gocciolava mi è sembrato giusto, la giusta forma di onore a Simona: che ha dato tanto – ne sono certa – a chiunque abbia avuto il privilegio di incontrarla. Grazie Simo. Riposati ora.
Questo articolo è tratto dal Notiziario “Insieme a VIDAS”.
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