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22.06.2012  |  Cultura

I modelli assistenziali in ambito palliativo

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Eccoci di nuovo alle prese con la storia delle Cure Palliative.  Ormai però non si tratta più di cercare nei meandri dei secoli le poche tracce rimaste delle nostre radici, ora siamo entrati nel pieno del discorso. L’ultima volta ci siamo lasciati con la nascita dei primi Hospice, dei primi servizi di Cure Palliative all’interno di ospedali e sul territorio o di unità di terapia del dolore. Oggi vedremo come questi semi sono germogliati e sono cresciuti, ovvero parleremo dei modelli assistenziali.

Il sostegno che le cure palliative hanno avuto in Inghilterra ed in altri Paesi anglosassoni ha contribuito al rapido ampliamento del concetto di hospice così che in circa mezzo secolo di storia si sono sviluppati diversi modelli assistenziali, a seconda delle realtà sociali, culturali e politiche specifiche delle singole popolazioni.

I modelli assistenziali sviluppatisi in ambito palliativo anglosassone possono essere così riassunti:

Ai modelli assistenziali dovrebbe corrispondere la possibilità per il paziente di essere inserito in percorsi di cura diversificati, in funzione dei propri bisogni e del contesto sociale e abitativo al fine di ottimizzare l’efficienza delle cure erogate.

Il National Council for Hospice and Specialist Palliative Care Services inglese ha definito lo spettro dei servizi di cure palliative erogabili in regime di ricovero, articolando l’offerta in 3 livelli in relazione alla specializzazione ed intensità assistenziali:

  1. General Palliative Care (fornito da alcuni nursing home ed alcuni ospedali di comunità): offrono una degenza continuativa a malati con limitate, o moderate, problematiche sanitarie non affrontabili a domicilio per periodi di tempo prolungati;
  2. Hospice Palliative Care (fornito da tutti gli hospice, per malati con bisogni moderatamente complessi): erogano cure palliative ai malati con bisogni meno complessi rispetto a quelli che vengono accolti nelle UCP specialistiche ma con situazione non gestibile al domicilio offrendo ricoveri per tempi più brevi (2-3 settimane) finalizzati sia al sollievo familiare (respite care) sia all’accompagnamento nella fase finale della vita (terminal care);
  3. Specialist Palliative Care (fornito da alcuni hospice e dalle UCP specialistiche, per malati con bisogni più complessi): focalizzano la propria attività sul controllo del sintomo attraverso una rapida valutazione e trattamento intensivo, garantendo da un lato l’intervento riabilitativo e dall’altro l’assistenza alle fasi terminali, con degenza media inferiore ai 10 giorni.

I tre livelli suddetti si differenziano anche rispetto ai requisiti operativi richiesti: nel caso delle strutture di primo livello, è richiesta solo una preparazione di base sui principi e la pratica delle cure palliative con la presenza in struttura di almeno un medico formato in cure palliative e la possibilità di avvalersi della consulenza di altre figure professionali quali assistente sociale, assistente spirituale, fisioterapista, terapista occupazionale. Nelle UCP specialistiche invece, lo standard richiesto per il personale è più elevato: medici ed infermieri devono essere tutti specificatamente formati e con esperienza clinica in cure palliative; inoltre, nel team di lavoro devono essere presenti altre figure professionali, dall’assistente sociale all’assistente spirituale al fisioterapista e con la possibilità di accedere alle consulenze di altri specialisti quali il dietologo, il farmacista ecc. oltre infine, alla possibilità di avvalersi della collaborazione di servizi specialistici come radiologia, laboratorio analisi ecc.

E in Italia cosa è successo? Lo vedremo più da vicino la prossima volta.

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