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19.12.2023  |  Cultura

Rituale numero uno

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Angelo Vignali è un artista visivo che è stato ospite alla seconda edizione di INCONTRO con una video performance in memoria di suo padre

rituale numero uno

“Mio padre era un illustratore, faceva libri per bambini prescolari e con quelli mi insegnava a scrivere, a leggere, a colorare dentro i bordi. E poi ha sempre dipinto, quadri di arte astratta contemporanea.”

Angelo Vignali, 36 anni, è cresciuto circondato dall’arte e non stupisce che crescendo si avvicini allo stesso ambiente. Sceglie, però, la fotografia. Studia fotografia allo IUAV di Venezia e poi si sposta a Milano per un tirocinio da Micamera, negozio specializzato in libri fotografici. È qui che ad Angelo viene l’idea per il suo primo progetto: Flattened in Time and Space (Witty Books, 2020), un libro fotografico che mette insieme oltre 400 fotografie trovate negli album di famiglia lungo un arco di 50 anni, creando una specie di racconto unico unito dal filo conduttore di suo nonno.

“Trasferire un libro come questo in fase installativa è stato difficile. Alla fine, ho deciso di strappare tutte le pagine e metterle una in seguito all’altra su una parete di sei metri per tre, in modo che si potesse avere una visione globale su tutto il progetto. Questa esposizione, questo libro, sono l’antefatto che mi ha portato a creare Rituale numero uno nel modo in cui l’ho fatto.”

Rituale numero uno è una video performance, che a ottobre è stata ospitata nella cornice di INCONTRO, il festival culturale di VIDAS, dove ha avuto un ottimo riscontro dal pubblico.

Per due minuti e 56 secondi viene ripetuto il lancio di una camicia bianca appartenuta al padre dell’artista. In questo spazio la camicia sembra animarsi, resta sospesa, si gonfia e si carica di movimento, per poi cadere inesorabilmente al suolo, immobile.

È il venire a patti, intimo e allo stesso tempo trascendentale, dell’autore con la morte di suo padre.

“Mi sarebbe piaciuto aver conosciuto un’associazione tipo VIDAS quando mio padre era malato di Parkinson, più di dieci anni fa, sicuramente mi avrebbe aiutato. All’epoca ero ancora giovane, più o meno, ed è stata molto dura affrontare questo tipo di malattia, con un decorso ovviamente negativo. Mi ha fatto molto piacere quindi esporre per VIDAS: il fatto che ci sia qualcuno che ti può aiutare a vivere non dopo ma prima è fondamentale.”

L’arte ha aiutato Angelo a processare quanto successo, negli anni di malattia e nel lutto seguente. “Non sono credente quindi dovevo trovare un modo “laico” per dare senso a cosa sentivo fisicamente. C’è un’idea di intimità esclusiva nel rituale, nella comunione con quell’oggetto, perché l’oggetto in questione è sacro nel senso di sommamente importante. Un’altra camicia non sarebbe stata la stessa cosa, perché la sua l’identità di oggetto è legata all’identità di una persona”. Angelo ha in programma di sviluppare altri Rituali, e anche quelli saranno poi legati a oggetti più o meno complessi e ad azioni che li riguardano.

Non serve una preconoscenza artistica per approcciarsi a questa opera, è un video che possono capire anche i bambini. Quello che chiedo è di approcciarla senza razionalità, lasciando fluire le emozioni davanti allo schermo e ai suoni.” Rituale numero uno è infatti accompagnata dal sottofondo di suo padre mentre intona una melodia in un vecchio registratore. “Non voglio che qualcuno mi dica ‘ok, a livello di Storia dell’Arte mi ricorda quel video di…” Quello che mi interessa è sapere che c’è una reazione emotiva, di qualsiasi tipo”.

Oppressione, malessere, tristezza, liberazione. Sono le sensazioni più comuni riportate ad Angelo da chi ha visto la sua performance.

“Vorrei che a questa tristezza seguisse un senso di apertura verso il mondo, verso quello che c’è di vivo attorno a noi. Una catarsi: qualunque emozione tu possa aver provato durante la performance, dopo esci e sei felice, di essere vivo, di esistere, di avere ancora delle persone con cui relazionarti – famiglia, amici, vicini di casa.”

Rituale numero uno è un’opera estremamente personale e biografica, pur non parlando mai del rapporto che Angelo aveva con suo padre, di quello che lui faceva, “Certo ci sono allusioni nei miei progetti precedenti – soprattutto in How to raise a hand (2018) – ma questa omissione di dettagli è proprio un modo per essere aperti, così che tutti si possano in qualche modo relazionare con queste forme d’arte”. E liberarsi.

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