Diciamolo subito: è un libro coraggioso. Che non fa giri di parole: perchè non è semplice né agevole accostarsi a un’opera che si intitola “Biotestamento”, soprattutto di questi tempi di inclemente pandemia.
Ma non lo sarebbe comunque perchè parlare di fine vita, e di una legge che registra le nostre decisioni sulle terapie cui vogliamo sottoporci se non fossimo più in grado di esprimere una scelta consapevole, non è mai semplice, né oggi né mai. La verità è che siamo riluttanti ad affrontare un argomento che ci obbliga a fare i conti con un passaggio che la nostra recente civiltà ha messo sotto il tappeto della rimozione.
Come mai sia avvenuta questa rimozione le sappiamo: gli enormi progressi della medicina, un maggior benessere generale che ha alzato l’età media, il fatto non ultimo che almeno in Europa da tempo si viva in pace.
Ottimi e nobili motivi, certo, ma che, come sottolineano le autrici Giada Lonati e Barbari Rizzi (da anni specializzate in cure palliative nel contesto di assistenza Vidas), ci hanno portato “ad allontanare l’aspetto sociale del morire” facendolo diventare un nuovo tabù del nostro tempo.
Un sociologo britannico Geoffrey Gorer, già nel 1965, scrive addirittura che “ la morte nella società moderna ha sostituito il sesso come tabù”.
Una tesi forse radicale, ma che esprime bene il concetto. Quasi che noi, avendo ben altro da fare, avessimo abolito l’esistenza della morte. La stessa vecchiaia, un tempo associata all’autunno della vita, è vissuta come un continuo rilancio di progetti senza interruzioni. Solo che poi, come avviene adesso con la pandemia, inciampiamo nella malattia, nel dolore, nella sofferenza. Che ci presentano il conto trovandoci impreparati. E non solo i pazienti, ma anche le famiglie e la stessa classe medica, “vittima di una scienza in cui la capacità di lettura della complessità non è stato in grado di tenere il passo dell’evoluzione tecnica”. Medici tecnicamente bravi, ma senza parole. Incapaci emotivamente di ascoltare il malato in un percorso imprevisto fino a qualche anno fa.
Ecco perchè questo libro è coraggioso e coinvolgente. Intanto perchè spiega con chiarezza che cosa sia la legge sul Biotestamento, cioè una legge sulla Disposizione anticipata di trattamento (la famosa DAT), offrendo dettagliate notazioni di ordine pratico sul dove e come compilare un importante documento di cui il 30 per cento degli italiani ignora l’esistenza.
Poi perché il libro riempie un vuoto: quello di parlare in modo sereno ma determinato della vita e della morte. Di cosa siano le cure palliative. Della differenza tra fine naturale e sedazione, eutanasia e suicidio assistito: argomenti centralissimi e attualissimi , ma quasi sempre fuori dall’agenda politica e informativa.
Un atteggiamento che ben spiega come mai, a tre anni dall’approvazione della legge (votata il 22 dicembre 2017 a larghissima maggioranza), ci siano ancora così tanti ostacoli alla sua piena applicazione. Ostacoli culturali ma anche informativi e organizzativi che riguardano tutti i soggetti in gioco: i Comuni, i medici, la società civile e il mondo religioso. Forse dopo tre anni è ora di fare tutti assieme un ultimo sforzo. I tempi sono maturi.
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