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06.05.2020  |  Operatori

Il ruolo del terapista occupazionale nel percorso di cura di una malattia inguaribile

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Marzia è la terapista occupazionale che collabora con VIDAS nell’ambito delle attività svolte in long day. Le abbiamo chiesto di raccontarci in cosa consiste il suo lavoro e quali sono gli obiettivi principali della terapia occupazionale, nell’ambito del percorso di cura di una malattia inguaribile.

Marzia, la nostra terapista occupazionale, insieme ad una paziente nel long day VIDAS

Cos’è la terapia occupazionale

La Terapia Occupazionale (TO) è una professione sanitaria riabilitativa che promuove la salute e il benessere attraverso l’occupazione. Il suo obiettivo principale è quello di rendere le persone capaci di partecipare alle attività della vita quotidiana. Secondo la World Federation of Occupational Therapy, i terapisti occupazionali raggiungono questo risultato o abilitando le persone a svolgere attività che incrementino la loro capacità di partecipare, o modificando l’ambiente in modo da favorire la partecipazione.


Marzia ci racconta così la scelta di intraprendere questo percorso di studi:

“Per quanto mi riguarda, la scelta del mio percorso di studi è stata mossa dal desiderio di cercare di aiutare gli altri in modo pratico a poter vivere meglio, soprattutto se una “condizione sfavorevole” è subentrata nella loro vita.  Qui in Vidas poter contribuire a migliorare la qualità di vita delle persone che vengono al Long Day è sicuramente fonte di soddisfazione! Certo questo a volte si scontra con il poco tempo a disposizione e con il peggioramento delle condizioni del paziente, alle volte in modo repentino, ma questo mi ha permesso di imparare a dare più valore alle piccole soddisfazioni, ai sorrisi, alla parola grazie, agli occhi soddisfatti nel momento esatto in cui si svolge un’attività che piace.”

Il ruolo del terapista occupazionale

Molto spesso il malato inguaribile rischia di perdere il suo ruolo in ambito professionale, lavorativo e famigliare, con forti ricadute sulla propria identità. La persona affetta da patologia in stato avanzato subisce la perdita di tutte le occupazioni.

Ecco perché, sia l’approccio delle cure palliative sia quello della terapia occupazionale hanno come focus principale il miglioramento della qualità di vita delle persone che si assistono. Nello specifico il terapista occupazionale si occupa di promuovere la salute e la qualità della vita attraverso l’occupazione (D.L. n. 136, 1997), al fine di consentire alle persone di scegliere, controllare e di partecipare alle attività della vita quotidiana che loro stesse identificano come primarie, intervenendo per rafforzare la motivazione, la sfera delle abitudini e la consapevolezza di sé.

La letteratura in materia di terapia occupazionale palliativa ha più volte riscontrato che una buona qualità di vita è strettamente connessa all’impiego in attività piacevoli e funzionali, che diano senso e significato al tempo di vita. Il ruolo del terapista occupazionale in ambito palliativo consiste proprio nel mantenimento delle abilità conservate, nel recupero e/o mantenimento dell’autonomia e nel recupero e/o rafforzamento dell’autostima dell’identità e del ruolo occupazionale. Mantenere alcune funzioni significa, per queste persone, poter ancora partecipare alla vita in maniera attiva, poter compiere scelte e decidere per se stessi.

Compito del terapista occupazionale è proprio quello di intervenire sulle inclinazioni, sulla spinta motivazionale, sulla sfera delle abitudini e sulla consapevolezza di sé, per permettere a coloro che si trovano ad affrontare il delicato periodo del fine vita, di sentirsi partecipi e protagonisti attivi della propria vita.

Il servizio Long Day di VIDAS

Il servizio Long Day di VIDAS è nato nell’aprile 2011 ed è stato ispirato dalla volontà di promuovere una valorizzazione del tempo per i pazienti che frequentavano il day hospice e migliorare il loro benessere. Il servizio è attivo il lunedì e il giovedì dalle 10 alle 15 ed è rivolto ai malati ancora autonomi che accedono all’ambulatorio e ai pazienti degenti in Casa VIDAS che lo desiderano.

Marzia ci spiega con queste parole il senso di questo servizio offerto da VIDAS:

Il Long Day può essere paragonato ad un contenitore. Un ambiente protetto in cui attraverso attività diverse i pazienti sperimentano senso di competenza, di soddisfazione, di piacere del «fare». Il fare non è semplice passatempo, ma diventa un fare significativo e collettivo. Al Long Day si incontrano altre persone, si crea, si gioca, si ride, si mangia insieme, ci si confronta e conforta. Si respira un clima sereno che favorisce il piacere di fare e la voglia di cimentarsi anche in attività sconosciute. In questo contenitore, proprio perché protetto, i pazienti possono sentirsi liberi di essere quello che sono, liberi di essere malati, con i propri limiti e con i propri bisogni, ma anche con i loro desideri, abitudini e inclinazioni. In questo contenitore è come se ognuno portasse all’interno del gruppo il suo essere persona e non il suo essere paziente.”

Infatti, nello spazio dedicato a questo servizio, i pazienti trovano la possibilità di scegliere e/o partecipare a diverse attività, condividendo momenti di creatività e di dialogo, recuperando in un ambiente protetto la dimensione di Persona e non solo di Paziente. Il Long Day è un progetto che consente ai malati di uscire psicologicamente e fisicamente dall’isolamento e, parallelamente, offre alla famiglia la possibilità di trovare sollievo dalle fatiche della costante assistenza. Il familiare che lo desidera può comunque essere presente e partecipare alle attività proposte. Questo progetto è affidato proprio alla figura del terapista occupazionale.

Quali sono le attività svolte in long day

Le attività svolte nell’ambito del servizio di long day possono essere scelte dal paziente stesso o proposte dal terapista, ma rientrano tutte principalmente nell’area ludico/creativa: bricolage, pittura, visite guidate, giochi di società, riflessioni su tematiche di attualità o cultura generale, insomma tutte attività che siano interessanti per il paziente, in cui si senta motivato e che riscopra (o scopra) piacevoli.

Lasciamo ancora una volta la parola a Marzia, che ci descrive un’attività molto gradita ai suoi pazienti:

“In questi anni, un’attività che ha riscosso particolare consenso è la cucina. Il cibo e le tradizioni che ruotano attorno ad esso risultano essere di grande interesse per tutti, indipendentemente dal sesso e dall’età. La cucina è un luogo che evoca in ciascuno ricordi ed emozioni e l’attività del cucinare è una di quelle in cui tutti, almeno una volta nella vita, hanno fatto esperienza. Inoltre, avere la possibilità di pranzare con un gruppo di persone conosciute, in un luogo piacevole e accogliente, e condividere la propria difficile condizione con persone a loro volta malate, aiuta a sentirsi compresi e confortati e crea benessere. Permettere alle persone di partecipare ad una attività può voler dire anche adattare l’ambiente o l’attività stessa in base alle loro capacità residue: è necessario aspettare i loro tempi, trovare strategie alternative, alle volte mi è capitato anche di prestare le mie mani ad un paziente che non riusciva più a controllarle, sotto la sua ‘costante e intransigente guida ho dipinto un ciondolo che voleva regalare alla figlia. Dal mio punto di vista di terapista occupazionale anche questo vuol dire partecipare ad una attività scegliendo come deve essere fatta!”

Dal punto di vista dell’assistenza, questi momenti offrono l’occasione per conoscere in via informale lo stato emotivo del malato e la sua vita familiare. Sia nel tragitto con gli autisti che li prelevano da casa e li riaccompagnano, sia con i volontari, infatti, i malati spesso si confidano più facilmente e raccontano della loro vita, condividendo informazioni che aiutano a offrire un’assistenza ancora più centrata sulla loro condizione personale. Le persone che hanno partecipato una volta ritornano volentieri e riferiscono spesso di trovarsi bene, accolti, ‘come a casa’.

Infine, abbiamo chiesto a Marzia se avesse mai pensato di organizzare una mostra con tutti gli oggetti realizzati nel corso di queste giornate ricreative:

“Non abbiamo mai fatto una mostra dei prodotti perché molto spesso ciò che viene fatto viene poi portato a casa, messo in bella mostra sul tavolo di casa propria, regalato ai figli o ai nipoti e anche questo è un aspetto importante dell’attività: mostrare agli altri le proprie competenze, sentirsi riconosciuti e/o lasciare un ricordo di sé, di qualcosa fatto con le proprie mani. La stanza del Long Day è “piena” di materiali, ora, nel nuovo spazio, anche in bella vista. Questo per dare la possibilità ai pazienti di lasciarsi anche incuriosire, far emergere ricordi e desideri, insomma… cerco (con l’aiuto dei volontari) il più possibile di capire cosa vorrebbero fare loro, poi capita che sia io o i volontari a proporre qualcosa da fare insieme o, ad esempio, progettiamo l’attività di cucina la settimana prima, partendo da una ricetta proposta da loro. Alcuni volontari mettono a disposizione le loro competenze e quindi capita che organizziamo la giornata della pittura su seta, della composizione floreale (ormai è passato un sacco di tempo), ecc. Per queste attività ovviamente è necessario prepararsi per tempo, per altre si può improvvisare!”

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