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Quando, come e perché ricorrere alle cure palliative in persone malate di Alzheimer

Precedentemente abbiamo compreso quanto sia importante l’assistenza in cure palliative anche in pazienti non oncologici, nello specifico affrontando la malattia di Parkinson e la SLA. Oggi proseguiamo il nostro percorso di conoscenza affrontando un’altra malattia degenerativa per la quale la persona malata, così come la sua famiglia, necessitano di assistenza e di una presa in carico globale. Grazie al contributo di Fabrizio Calamida, medico palliativista al domicilio di VIDAS, cercheremo dunque di comprendere meglio il ruolo delle cure palliative nell’Alzheimer e le peculiarità dell’assistenza offerta da VIDAS a pazienti affetti da questa malattia.

Cos’è l’Alzheimer e cosa comporta

L’Alzheimer – protagonista di un meraviglioso film del 2014 con Julienne Moore, “Still Alice” – è la demenza più frequente nella popolazione mondiale, seppur non sia l’unica. In quanto tale, come primi sintomi comporta un grado sempre più progressivo di degenerazione cerebrale e la perdita nel tempo delle capacità intellettive. In una fase più avanzata della malattia, poi, comporta anche la perdita di altre capacità fondamentali che condizionano ogni aspetto della vita, come muoversi, comunicare e mangiare. Essendo una malattia con evoluzione non prevedibile non è possibile stabilire la velocità con cui accadono questi cambiamenti nella persona malata. In linea di massima si tratta di una patologia senile, che colpisce principalmente gli over 65, ma che tuttavia esiste anche in forme di demenza precoce, colpendo dunque persone più giovani.

A tal proposito, il dottor Fabrizio Calamida ci informa che:

Esistono forme di demenza, come la demenza a corpo di Lewy o la fronto-temporale, che colpiscono anche persone più giovani e – di conseguenza – la devastazione si inizia a vedere prima. L’Alzheimer è la forma di demenza che si vede di più, ma non sempre arriva ad interessare e ricevere l’attenzione delle cure palliative. Tuttavia, dato l’elevato numero di anziani che abbiamo in Italia, la popolazione soggetta a questa malattia è molto ampia e i casi sono numericamente tanti, anche se non sempre fanno riferimento e accedono alle cure palliative.

Quando ricorrere alle cure palliative nei malati di Alzheimer

In quanto tali, le cure palliative vengono rivolte a persone affette da una patologia inguaribile nel loro ultimo periodo di vita, che coincide con la fase più avanzata della malattia. Questo vale anche per i pazienti malati di Alzheimer. Il dottore ci spiega meglio:

Le fasi più avanzate sono quelle dove la malattia interferisce molto con gli aspetti comportamentali: sono comuni stati di agitazione, insonnia e irrequietezza. Un altro problema importante è quello della capacità di alimentarsi, quando questa degenerazione coinvolge anche i centri della deglutizione, andando così a interferire con un processo per noi vitale. Tipicamente succede che il cibo non va più nelle vie deputate all’alimentazione, ma finisce nelle vie respiratorie. Altre volte queste forme di demenze possono portare a un rifiuto del cibo: ad esempio i malati serrano la bocca e non vogliono mangiare, anche se hanno ancora la capacità di deglutire.

Quando si raggiungono questi livelli, il geriatra, l’internista o il medico di base segnalano il problema a un servizio di cure palliative. Inizialmente, infatti, le figure professionali coinvolte nella cura di persone malate di Alzheimer sono principalmente il geriatra e il neurologo. Una volta raggiunto un livello più avanzato della malattia, che solitamente coincide con l’allettamento, intervengono allora le cure palliative e ci si occupa, ad esempio, della cura e della prevenzione delle piaghe da decubito, del regolare svuotamento della vescica e dell’intestino.

Quale tipo di interventi vengono effettuati

Gli interventi in cure palliative che vengono effettuati sui pazienti malati di Alzheimer sono diversi, in quanto si tratta di una patologia che colpisce il cervello a 360°, dall’aspetto cognitivo a quello emotivo e funzionale. D’altra parte, non esistendo soluzioni definitive, oggi si tende a non accanirsi con interventi invasivi che prolungherebbero solamente uno stato di sofferenza, spesso vegetativo. Il dottor Fabrizio Calamida ci spiega meglio quali sono gli interventi utili in questi casi:

Un intervento può essere consigliare quale tipologia di cibo dare, mettere ordine in tutto ciò che è la non conoscenza del problema della deglutizione. Infatti, ci avvaliamo molto spesso dell’intervento del logopedista, che aiuta a capire qual è la consistenza dei cibi giusti – per evitare che possano finire nelle vie aeree e causare una polmonite ab ingestis. Inoltre, si interviene nella comunicazione con i familiari, per far capire che il processo di alimentazione può diventare letale quando non funziona più, spiegando loro che nutrire meno in questo caso può voler dire prolungare la vita e soprattutto evitare una morte per polmonite ab ingestis, particolarmente brutta per il paziente che muore soffocato. Altri problemi da risolvere sono: il rifiuto del cibo, le lesioni da pressione, le infezioni delle vie urinarie, o anche problemi relativi al sistema immunitario e al sistema cardiocircolatorio… Tutto in qualche modo viene coinvolto in questa malattia.”

E ancora:

L’allettamento è uno degli eventi principali, per cui curare le piaghe esistenti e non farne comparire di nuove è sicuramente importante per dare sollievo al paziente. A tal fine ci si aiuta con ausili specifici, come la carrozzina o la bascula, per dare finché è possibile una certa qualità di vita anche grazie al movimento. Quando il movimento non è proprio più possibile, allora si ricorre al letto articolato, al materasso e ai cuscini anti decubito, proprio per ridurre al minimo il rischio di piaghe.”

I benefici delle cure palliative nei malati di Alzheimer

L’assistenza in cure palliative nei malati di Alzheimer è più un lavoro di prevenzione che di cura: il primo beneficio, infatti, sta proprio nel ridurre il rischio di eventi nocivi, nell’evitare il più possibile le complicanze. Come anticipato, la malattia porta nella maggior parte dei casi all’allettamento ed è qui che subentrano in particolar modo le cure palliative. Di seguito le parole del dottore in merito:

L’allettamento può causare rigidità spastica e quindi l’irrigidimento di tutto il corpo: in questo caso si ricorre alla terapia del dolore. I benefici che questo tipo di pazienti traggono dalle cure palliative non derivano tanto dagli aspetti clinici – come ad esempio la prescrizione di un farmaco – quanto più dagli aspetti assistenziali. Cerchiamo dunque di prevenire il prevenibile: grazie all’aiuto del logopedista per la valutazione della disfagia, del fisioterapista per la scelta degli ausili più adatti, degli operatori socio-sanitari per l’assistenza vera e propria, in quanto solitamente si tratta di pazienti non autosufficienti anziani, coniugi di altri anziani il cui nucleo famigliare è spesso ristretto.

Chiaramente per un anziano è complicato prendersi cura del proprio coniuge. È ad esempio difficile spostarlo dal letto alla sedia a rotelle per fargli cambiare posizione e cercare così di prevenire le piaghe da decubito e la rigidità spastica. O ancora, è complicato prendersi cura dell’igiene personale della persona allettata. Ecco perché il supporto dei professionisti è importante e indispensabile, per migliorare la qualità della vita del paziente, ma anche del suo caregiver.

Il supporto di VIDAS ai caregiver

A tal proposito, è bene ricordare che VIDAS offre supporto anche ai caregiver, ossia a chi si prende cura del paziente malato, sia esso un familiare, un amico o un/una badante. Spesso i caregiver chiedono un supporto psicologico per elaborare tutti i cambiamenti che avvengono. Nella maggior parte dei casi, infatti, si tratta di soggetti che hanno vissuto e convissuto con una persona che la malattia ha trasformato completamente: questo cambiamento può essere molto difficile da elaborare. Il dottor Fabrizio Calamida ci racconta la storia del marito di una paziente malata di Alzheimer assistito da VIDAS:

Abbiamo preso in carico la moglie quando era già in stato vegetativo: lui era molto affaticato dalla convivenza con lei, che era diventata una sorta di involucro da cui non usciva nessun tipo di segnale. Aveva provato a stimolarla in tutti i modi, anche con la musicoterapia, ma l’unico segnale che riceveva era solo durante il momento di igiene: un lamento. Quando veniva girata a destra e sinistra era un po’ infastidita da queste movimentazioni ed emetteva un piccolo gemito, nient’altro. Nonostante fosse una malattia datata e con la quale il marito avesse comunque convissuto per molti anni, arrivato in questa situazione ci ha chiesto un supporto psicologico.”

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